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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2010 alle ore 08:00.
Alla fine, il problema è esploso. Da lontano era facile vederlo: si sapeva bene che indovinare i tempi e le forme giuste per disattivare o addirittura invertire le politiche di stimolo sarebbe stato molto difficile. Ora, il momento è arrivato. Nel peggiore dei modi. In Eurolandia la situazione è un po' sfuggita di mano. I mercati finanziari, irritati - e irretiti - dalla scoperta delle indimenticabili bugie della Grecia sui propri conti pubblici, hanno imposto soluzioni rapide e drastiche, che non sembrano tener troppo conto degli effetti meno immediati del risanamento: il possibile rallentamento di una crescita già anemica, con il rischio - forte - di una seconda recessione.
Ad esempio, i paesi dell'Unione europea dovrebbero introdurre un «prelievo» sugli istituti finanziari per far sì che contribuiscano al costo della crisi. Questa la «necessità su cui il Consiglio Europeo concorda secondo quanto si legge nella bozza di conclusioni che sarà discussa questa mattina dai capi di Stato e di Governo dei 27.
Morale: gli stessi investitori, nel loro pragmatismo, oggi non sono più così sicuri della bontà assoluta delle politiche di rigore. Almeno, iniziano a temerne gli effetti indesiderati (ma in qualche modo prevedibili). «I mercati - spiegava ieri Michala Marcussen di Société Générale, riferendosi all'esito del Consiglio europeo di oggi - chiederanno una manifestazione di unità e di trasparenza e la rassicurazione che la frenesia della Germania per l'austerità fiscale non spingerà l'Europa in una seconda recessione». In una fase in cui - come ha notato qualche giorno fa Ethan Harris di Bank of America Merrill Lynch - i mercati seguono l'economia, e non viceversa, è facile immaginare che anche l'eccesso di rigore possa non ricevere consensi unanimi.
È altrettanto difficile però non ascoltare il discorso di chi sostiene la necessità dei tagli alle spese. «Le economie avanzate devono affrontare una vera e seria sfida fiscale, che deve essere raccolta», ha spiegato Marco Annunziata di Unicredit in una ricerca. Sono stati i mercati a svegliare i governi - peraltro colpevoli o disattenti - «e quindi l'aggiustamento fiscale non può essere evitato senza pagare un prezzo che può arrivare in forma di più alti premi al rischio e più alti costi di finanziamento, con il conseguente impatto negativo sulla crescita».