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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2010 alle ore 09:21.
Quattro alpini della brigata Julia in Afghanistan sono rimasti uccisi e uno rimasto ferito dall'esplosione di un ordigno improvvisato (Ied) di grande potenza, in grado di distruggere il veicolo blindato Lince che in passato aveva retto molto bene alle Ied talebane di potenza inferiore.
Nello scoppio hanno perso la vita (guarda le foto) il primo caporal maggiore Gianmarco Manca (nato ad Alghero il 24 settembre 1978); il primo caporal maggiore Francesco Vannozzi (nato a Pisa il 27 marzo 1984); il primo caporal maggiore Sebastiano Ville (nato a Lentini, provincia di Siracusa, il 17 settembre 1983) e il caporal maggiore Marco Pedone (nato a Gagliano del Capo, in provincia di Lecce, il 14 aprile 1987).
Il militare ferito è il caporal maggiore scelto Luca Cornacchia (nato a Pescina, in provincia dell'Aquila, il 18 marzo 1972), il quale «è cosciente, ha riportato ferite a un piede e traumi da esplosione ma non è in pericolo di vita». L'arrivo delle salme è previsto per lunedì mattina, alle 9 circa, all'aeroporto militare di Ciampino a Roma. Le esequie in forma solenne dovrebbe svolgersi l'indomani, martedì, sempre nella capitale.
Il comandante delle forze americane e della Nato, generale David H. Petraeus, ha espresso le sue condoglianze, per l'uccisione dei quattro alpini: «Non dimenticheremo il loro coraggio e altruismo». Questi soldati - ha affermato il comandante della missione Isaf in Afghanistan - «hanno servito come parte del coraggioso contingente italiano che guida i nostri sforzi nel Comando regionale ovest. Il loro operato coraggioso e altruistico - ha aggiunto Petraeus - non sarà dimenticato, in un momento in cui abbiamo deciso di sconfiggere quella insorgenza che toglie al popolo afgano sicurezza e stabilità e che vorrebbe fare di questo Paese ancora una volta un rifugio sicuro per i terroristi». Petraeus ha anche commentato l'uccisione dell'operatrice umanitaria britannica Linda Norgrove durante il fallito blitz di venerdìper liberarla.
Il mezzo italiano faceva parte di una lunga colonna logistica composta anche da 70 camion civili che rientrava verso Herat dopo aver trasportato materiale nella Base avanzata «Ice», un fortino presidiato dagli alpini del 7° reggimento nel distretto del Gulistan, nell'est della provincia di Farah.