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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2010 alle ore 14:05.
Perché Assange può essere utile a Obama (di Evgeny Morozov)
«Il mondo è cambiato per sempre»: questo è il luogo comune che si è ripetuto fino alla nausea dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre. Non è stato così. Sono cambiate molte cose, ma per la stragrande maggioranza delle persone la vita è continuata come al solito. La stessa dinamica si ripropone ora con WikiLeaks. Indubbiamente, le rivelazioni porteranno a delle conseguenze, alcune importanti. Tuttavia, in linea di massima, la portata sarà ridimensionata rispetto a quanto anticipato. Il consenso che ha suscitato WikiLeaks si spiega grazie a vari aspetti che meritano di essere analizzati e confutati. Per esempio:
- WikiLeaks ha indebolito gli Stati Uniti. Il furto di tutti questi segreti rappresenta una vergogna per un paese che spende 50 milioni di dollari all'anno per i propri servizi di intelligence. È una conseguenza ovvia che molti alleati si siano irritati con gli statunitensi. Eppure, i dispacci diffusi fino a oggi dimostrano che il governo degli Stati Uniti è oltremodo coerente se si raffrontano le dichiarazioni pubbliche con le azioni private. I dispacci diplomatici non hanno ancora svelato alcuna ipocrisia americana che si possa confrontare con le sfacciate menzogne di alcuni capi di stato. Per il momento sembra essere evidente che le rivelazioni di WikiLeaks hanno provocato più danni ad altri paesi piuttosto che agli Stati Uniti.
- La diplomazia statunitense ne esce con le ossa rotte. No. Piuttosto il contrario. Fino ad ora e con grande sorpresa non si sono riscontrati errori madornali nelle informazioni o nei pronostici contenuti nei dispacci. Certamente, ci sono pettegolezzi e affermazioni avventate. Inoltre, si svelano comportamenti vergognosi come le domande sullo stato mentale di Cristina Kirchner o lo spionaggio nei confronti di Ban Ki-moon, segretario generale dell'Onu. Questi però non possono essere ritenuti errori. Nel mondo della diplomazia, l'errore sarebbe stato non aver compiuto queste azioni. «Vi paghiamo per questo», afferma Leslie Gelb, presidente emerito del Council for Foreign Relations, un think tank privato. Gelb è dell'opinione che i dispacci mostrino la serietà e professionalità del governo statunitense nel risolvere i problemi mondiali più complessi, senza avere in realtà il potere per imporre agli altri le proprie decisioni. «Nei dispacci - scrive Gelb - vedo diplomatici che si appropriano di informazioni sensibili su leader stranieri, cercando strade per l'azione comune e lottando per esercitare una dose adeguata di pressione su altri paesi. Questo è il loro lavoro!». E aggiunge: «Non è Washington a emergere dai dispacci come l'infame della situazione, al contrario sono i leader degli altri paesi che si rifiutano di prendere decisioni difficili e si rifugiano nell'ipocrisia, la codardia e le menzogne che rivolgono ai cittadini delle proprie nazioni».