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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2010 alle ore 08:21.
L'ultima modifica è del 15 dicembre 2010 alle ore 07:41.
Sbaglia l'opposizione ad affermare che ieri alla Camera non è successo niente. È vero che si deve registrare una debolezza strutturale della maggioranza, ridotta ai minimi termini dopo il grande successo elettorale del 2008. Tuttavia una delle giornate più drammatiche (e meno onorevoli) nella storia recente del Parlamento, sullo sfondo del centro storico romano messo a ferro e fuoco, ha offerto numerose indicazioni. In primo luogo, Berlusconi ha conseguito un successo personale di cui è difficile non cogliere il risvolto politico.
Ha sconfitto il rivale Gianfranco Fini, che ha avuto il coraggio di sfidarlo a viso aperto, ma anche la colpa di scegliere una strategia sbagliata. E oggi – secondo punto importante – il presidente del Consiglio può gestire da Palazzo Chigi la fase che si annuncia. Con due ipotesi: tentare di allargare la maggioranza parlamentare ai centristi di Casini, oltre che ai «pentiti» del partito finiano; ovvero preparare le elezioni anticipate.
C'è di più. Il vantaggio di Berlusconi consiste nell'aver dimostrato, grazie al voto di Senato e Camera, che non esiste in concreto alcuna alternativa di governo: esecutivo tecnico, di responsabilità nazionale, di armistizio o di transizione...
Si è capito fin troppo bene che le varie opposizioni non sono oggi in grado di esprimere una prospettiva appena convincente. Se la mozione di sfiducia fosse passata, se Fini avesse ottenuto sul campo le dimissioni del premier, la storia sarebbe diversa. Ma stando così le cose, come si fa a dire che ieri «non è successo niente»?
Il centrosinistra e il presidente della Camera, quest'ultimo ormai all'opposizione, denunciano l'impossibilità per Berlusconi di governare e lo stallo del Parlamento. C'è più di una dose di verità in questo scenario, ma l'argomento non è esente da rischi. Quando il finiano Granata dice «da oggi renderemo la vita impossibile al cavaliere», non si rende conto di offrire al presidente del Consiglio e al suo alleato Bossi un ottimo motivo per portare dalla loro parte un certo numero di deputati di altre formazioni, oppure per chiedere lo scioglimento delle Camere. Magari non domani, ma in un futuro non troppo remoto. Sarebbe diverso se le opposizioni fossero in grado di mettere sul tavolo un altro governo e un altro premier, ma si è visto che non è così.