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Il Terzo polo si riunisce a Roma e prova a tirar dritto, si rafforza Casini

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2010 alle ore 10:16.

È il grande corteggiato delle ultime ore, da Berlusconi e dai leader del Terzo polo. Ma le lusinghe non sembrano smuovere le sue convizioni. Pier Ferdinando Casini per ora tira dritto e la sua prospettiva resta quella di «un'area alternativa» al Pdl e al Pd con la costituzione di una forza di coalizione responsabile, che potrebbe chiamarsi "Polo della nazione". Dunque avanti con la nuova formazione di centro, con l'Udc pronto a lanciare la sfida per consegnarne la premiership a Casini. A puntare tutto sulla prospettiva di un nuovo centro è anche Francesco Rutelli. Secondo il quale dopo il voto di ieri il Terzo Polo «è in campo in modo irreversibile». E anche Fli, con il suo coordinatore Adolfo Urso, conferma che «da oggi inizia una nuova fase della legislatura. Ci comporteremo responsabilmente e con un'azione costruttiva in Parlamento». Il Terzo Polo, conferma Urso, agirà all'unisono nelle votazioni e nei lavori parlamentari. Per fare il punto della situazione si incontrano oggi all'hotel Minerva il leader centrista, quello di Api e Gianfranco Fini, insieme ad esponenti di Mpa e dei Liberal democratici. Primo obiettivo ora: mettere in campo «un'opposizione responsabile». Partecipano anche Paolo Guzzanti e Giorgio La Malfa che ieri hanno votato la sfiducia al governo. Assieme ai leader c'é anche lo stato maggiore dei partiti. Per Fli Italo Bocchino e Adolfo Urso, per l'Udc Rocco Buttiglione e Lorenzo Cesa. A rappresentare il Movimento delle Autonomie, al posto di Lombardo c'é Pistorio.

Nuovi equlibri nel Terzo Polo
Il giorno dopo lo showdown che ha riconsegnato la fiducia del Parlamento (per soli 3 voti alla Camera) al presidente del Consiglio, sia Fli che Udc, oltre ad Api si preparano di fatto a fare opposizione. Non senza qualche malumore al loro interno. I centristi non hanno gradito granché il discorso di Italo Bocchino a Montecitorio giudicato più duro di quello di Antonio Di Pietro. Sono consapevoli del momento difficile e degli errori di Fli ma Casini non volta le spalle a Fini, anche perché ora sia il leader centrista che quello futurista devono affrontare seriamente la possibilità che nei loro partiti ci siano nuovi addii a favore di Silvio Berlusconi.

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Il pressing di Silvio Berlusconi
Intanto il presidente del Consiglio preme perché Casini torni sui suoi passi e rientri (come ai vecchi tempi) con lui e Bossi, così apre a una crisi pilotata. L'ex presidente della Camera la giudica come una presa in giro. A Montecitorio però dopo il colloquio con tanto di buffetti e pacche sulle spalle tra i due circola insistente la voce di un accordo da sottoporre al capo dello Stato. Un'intesa (che sarebbe stata siglata in un incontro segreto) che prevedesse il segnale di discontinuità chiesto da Casini, cioè le dimissioni del Cavaliere e il successivo reincarico per l'ingresso dei centristi al governo. Voci smentite da via dei Due Macelli e dallo stesso Casini.

Pier Ferdinando Casini tira dritto
Il leader centrista è stato chiaro. Silvio Berlusconi «ha ritenuto di non ascoltare il nostro consiglio» di dimettersi «prima o dopo il voto alla Camera per dar vita a un governo di responsabilità più ampio». Ora «ha solo il dovere di governare» con «la fiducia che
voleva per tre voti». Dopo mesi di barricate, anche la Lega apre ai centristi. Bossi chiarisce che da parte del Carroccio «non c'è un veto all'ingresso dell'Udc». Ma l'ipotesi privilegiata dal Senatur resta quella di elezioni anticipate («l'unica igiene è il voto»). E poi il sì all'Udc è subordinato ad una condizione: che garantisca la «convinta» partecipazione alle riforme volute dal governo. La questione più spinosa nei rapporti tra Bossi e Casini resta il federalismo, su cui i centisti hanno più volte espresso le loro perplessità, anche se sulla parte fiscale ci sono segnali di avvicinamento.


L'inseguimento dei cattolici democratici
Il presidente del Consiglio ha lasciato capire che ci sarebbero alcuni finiani e alcuni centristi pronti a sostenere il governo. E il ministro degli Esteri, Franco Frattini a proposito del percorso «di allargamento della maggioranza» ha precisato che «lo sguardo andrà», oltre che all'Udc, pure «ai tanti colleghi del cattolicesimo democratico che dal dibattito parlamentare di queste giornate sono stati del tutto emarginati». Il ministro ha detto chiaramente di pensare a Giuseppe Fioroni, perchè non dimentica «che per questa stessa ragione Rutelli è andato via». Ma l'esponente democratico aveva già ribadito subito dopo il voto di ieri che «il Pd è compatto ed unito come lo è stato in aula» e che «tutti noi lavoriamo per costruire una alternativa di governo che vinca nel Paese e tra la gente».
Che il presidente del Consiglio tenga al voto cattolico non è certo una novità, ma da qui a pensare che alcuni ex popolari possano appoggiare il governo il passo è molto lungo. Anche perchè prima che il Pdl su una (eventuale) strada alternativa a quella democratica gli ex Ppi incontrerebbero l'Api di Rutelli.
Nel Pd gli ex popolari (un centinaio in tutto) sono suddivisi in quattro aree diverse, che fanno rispettivamente capo a Enrico Letta, Dario Franceschini, Rosy Bindi, Giuseppe Fioroni. Con Franceschini stanno anche gli ex leader della Cisl Franco Marini e Sergio D'Antoni, con Fioroni gli ex teodem, come Luigi Bobba e Manuela Baio. Ma per molti di loro Berlusconi rappresenta una sorta di discriminante, ogni iniziativa possibile parte cioè dal presupposto che il presidente del Consiglio stia da una parte diversa dalla loro.

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