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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2010 alle ore 11:35.
Il Senato ha approvato definitivamente la riforma dell'Università. Il via libera al disegno di legge è giunto al termine di un iter lungo e tormentato, con 161 sì, 98 no e 6 astenuti. Non è mancata una bagarre in aula al momento dell'intervento della presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro. «Mi rifiuto di proseguire, di concludere il mio intervento tra gli insulti» ha affermato la capogruppo del Pd. «Siete degli irresponsabili - ha detto Anna Finocchiaro - non si tratta così la presidente del principale gruppo di opposizione». Questa riforma, aveva detto prima Anna Finocchiaro, «é, per dirla in maniera icastica, la foglia di fico sui tagli che il governo ha impresso all'università e alla ricerca dopo averli impressi alla scuola. Una legge che si sovrappone a una vergogna». Finocchiaro, offesa per avere ricevuto «insulti» durante il suo intervento, ha detto in aula che il Pd potrebbe intervenire «110 volte» sul coordinamento del testo. Poi sono arrivate le scuse di Maurizio Gasparri a nome del Pdl. Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato, ha detto che la legge è «una svolta, anche se perfettibile».
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Bocciati 850 emendamenti
A differenza di ieri l'esame del provvedimento è andato avanti rapidamente, con qualche rara richiesta di voto elettronico. Sono stati bocciati tutti gli 850 emendamenti presentati. Ed è giunto anche un sì unanime dell'aula del Senato all'ordine del giorno presentato dal terzo Polo (Fli, Udc, Api e Mpa) che denuncia un'insufficienza di risorse per il sistema universitario e impegna il governo a «garantire le coperture finanziarie alla riforma nonchè la certezza dei finanziamenti nel medio periodo per consentire un'adeguata programmazione degli interventi». Ieri l'ostruzionismo di Pd e Idv aveva fortemente rallentato i lavori. Poi ieri sera l'accordo dopo ben tre riunioni dei capigruppo: il voto è stato rimandato a oggi in cambio di tempi leggermente più lunghi per la discussione in aula (prima si era parlato di un minuto per ogni gruppo, anziché per ogni singolo parlamentare.