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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2011 alle ore 06:40.

Di Donatella Stasio
ROMA - Il Pdl presenterà lunedì nella giunta per le autorizzazioni della Camera la richiesta di sollevare il conflitto di attribuzione alla Corte costituzionale sul caso Ruby. Ma da Palazzo della Consulta arriva una moral suasion. Attenzione, fa notare una «fonte autorevole»: se l'obiettivo del conflitto di attribuzioni che camera e governo si accingono a presentare la prossima settimana è trasferire il processo contro il premier al Tribunale dei ministri, la Corte costituzionale potrebbe bocciarlo senza neppure entrare nel merito, perché «inammissibile».

«È la magistratura che decide le questioni di giurisdizione, non la Corte costituzionale», ricorda la fonte. E suggerisce al governo e al parlamento di «valutare bene» la strada del conflitto per evitare che una sentenza scontata sul piano giuridico venga poi etichettata come sentenza politica.

I giudici della Corte sono 15 e quindi qualcuno potrebbe pensarla anche in modo diverso. Ma l'autorevolezza della fonte preoccupa il Pdl, anche se a parlare è solo il portavoce del Pdl Daniele Capezzone che, cinque ore più tardi, chiede una «smentita categorica» al presidente Ugo De Siervo. Di lì a poco, una nota stampa di Palazzo della Consulta ribadisce che la Corte «si esprime solo» con le sentenze e con le dichiarazioni ufficiali del presidente», ma non smentisce il cuore dell'indiscrezione.

All'«indignazione» di Capezzone non seguono altre prese di posizione. Nel Pdl la parola d'ordine è: non si può polemizzare con la Corte, perché ora la Corte ci serve. Quindi, toni bassi. Anzi, silenzio. Peraltro, neppure tra gli avvocati del Pdl c'è piena convinzione sul fatto che il conflitto sia la carta vincente per spostare al Tribunale dei ministri il caso Ruby. Raccontano, ad esempio, che Niccolò Ghedini abbia qualche dubbio. Chi, invece, ne è convinto, è l'onorevole Maurizio Paniz, artefice del «no» della camera alla richiesta della Procura di Milano di perquisire gli uffici di Giuseppe Spinelli (contabile del premier) nonché relatore del «caso Matteoli» finito per due volte alla Consulta e ancora in attesa di sentenza. Paniz sostiene che la Procura prima, e il Gip poi, avrebbero dovuto «informare» la camera del rito immediato e che, non avendolo fatto, hanno aggirato l'articolo 96 della Costituzione e, quindi, leso una prerogativa del Parlamento. L'avvocato-deputato considera un «precedente» importante proprio il caso del ministro Altero Matteoli, in cui la Consulta riconobbe in capo al Tribunale dei ministri quest'obbligo di comunicazione alle camere, perché così prevede la legge. Il Pdl vorrebbe ora applicare lo stesso principio al magistrato ordinario e perciò si rivolge alla Corte, sul presupposto che spetti al parlamento stabilire la natura ministeriale del reato.

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Tags Correlati: Altero Matteoli | Camera dei deputati | Corte Costituzionale | Corte di Cassazione | Daniele Capezzone | Giuseppe Spinelli | Maurizio Paniz | Niccolò Ghedini | PDL | Riccardo Chieppa | Ruby Processo | Ugo De Siervo

 

Ma quella che per i berlusconiani è un'«interpretazione estensiva» della legge, per molti - anche a palazzo della Consulta - è una forzatura. Con l'aggravante che potrebbe richiedere tempi molto lunghi, visto che mediamente i conflitti si decidono in un anno.

Se dal conflitto il Pdl si aspetta il trasferimento degli atti al Tribunale, da palazzo della Consulta lasciano intendere che la strada è «palesemente» sbagliata. Ma anche inutile, poiché il conflitto «non sospende il procedimento in corso» e, mediamente, per la sentenza passa un anno (come nel caso di Matteoli, peraltro ancora da definire). «Possiamo ridurre i tempi a sei mesi, ma - viene ribadito - non si dimentichi che a decidere sulle questioni di competenza sono i giudici e, in ultima istanza, la Cassazione». Un consiglio a non scivolare su una buccia di banana.

Del resto, lo stesso aveva detto proprio ieri, sulle pagine dell'Avvenire, l'ex presidente della Consulta Riccardo Chieppa, aggiungendo che, «come ha richiamato il presidente della Repubblica, il Parlamento non è autorizzato a determinare la competenza o meno» di un giudice. La legge n.87 del '53, sul funzionamento della Corte, disciplina i presupposti del conflitto tra poteri e dice chiaramente che «Restano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione». Sulla competenza, insomma, decidono i giudici nei vari gradi di giudizio e infine la Cassazione.
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