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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 16:07.
Geograficamente non potrebbero essere più distanti: lombardo il primo, padovano di nascita ma cresciuto in Sicilia il secondo. Li accomuna però l'approccio pacato e l'aplomb politico. Mai una parola sopra le righe, mai un insulto contro gli avversari. Eppure la storia più recente di Futuro e Libertà, la creatura di Gianfranco Fini, li ha messi l'un contro l'altro. Anche se Benedetto Della Vedova, l'ex radicale convertitosi alla causa finiana e designato, dopo l'assemblea costituente di Fli, leader in pectore dei deputati (al posto di Italo Bocchino), proprio non vuole andare allo scontro con l'ex viceministro Adolfo Urso. Che a quella poltrona ci aveva fatto la bocca, convinto di ottenerla dopo Milano, ma è stato stoppato invece da Fini che gli ha preferito l'altro, spingendolo sull'Aventino chiuso in un eloquente silenzio.
Il "modernizzatore" da sempre al fianco del leader
Della Vedova è comunque pronto a un passo indietro pur di evitare che si consumi lo strappo dopo 19 anni di vicinanza tra Fini e Urso. Perché Adolfo, classe 1957, giornalista e sempre a destra, ha vissuto in simbiosi con il leader di Fli: suo collaboratore da sempre e tra i principali promotori della nascita di Alleanza nazionale. Uno che si è speso senza risparmio per svecchiare il partito, tanto da guadagnarsi l'appellativo del "modernizzatore". E che ha girato in lungo e in largo l'Europa come presidente della Fondazione Farefuturo allacciando rapporti con le cancellerie e creando il terreno per lo sdoganamento oltreconfine dell'ex leader di An. Insomma, un sodale discreto e affidabile, fa notare chi lo conosce bene, che per Fini ha saputo anche mostrare le unghie, quando serviva, nel salotti televisivi e che ha seguito il capo fino alla fine, rinunciando all'incarico di viceministro. Apprezzato anche dal Cavaliere.