Questo articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2011 alle ore 16:25.
Una mattinata di relativa calma, quella di oggi a Tripoli. Dopo le sanzioni decise nella notte dal presidente Usa Barack Obama, raggiunto all'Onu un accordo di massima su una serie di sanzioni contro il regime libico - tra cui il blocco dei beni e l'embargo alle vendite di armi. In un colloquio telefonico il cancelliere tedesco Angela Merkel e il premier britannico David Cameron hanno auspicato che l'Onu disponga «severe sanzioni» e che sanzioni siano stabilite anche dall'Ue. E se ci saranno sanzioni dall'Europa, ha detto il ministro della difesa italiano Ignazio La Russa, l'Italia non si tirerà indietro. Sulla questione libica è intervenuto anche il premier Silvio Berlusconi, per il quale «nessuno potrà prevedere cosa avverrà».
Rifiutato l'atterraggio a un C-130 italiano Prosegue, intanto, il rimpatrio degli stranieri dalla Libia e l'Italia incontra nuove difficoltà. Le autorità libiche hanno negato l'autorizzazione all'atterraggio di un C-130 dell'aviazione che dovrebbe rimpatriare nostri concittadini. L'aereo, partito questa mattina alle 11 dall'aeroporto di Pisa, non ha avuto l'autorizzazione ad atterrare ad Hamal, in Libia, dove avrebbe dovuto caricare a bordo e rimpatriare circa 25 italiani rimasti bloccati in loco.
Accordo sulle sanzioni Onu a Gheddafi Raggiunto un accordo di massima su una serie di sanzioni contro il regime libico - tra cui il blocco dei beni e l'embargo alle vendite di armi - il Consiglio di Sicurezza si è riunito oggi a New York poco prima delle 12:00, le 18:00 in Italia, per approvare formalmente una prima risoluzione sulla situazione in Libia da quando è scoppiata la crisi. Come ha confermato il rappresentante permanente della Cina, Li Baodong, l'unico punto ancora da chiarire riguarda i termini esatti del ricorso alla Corte Penale internazionale (Cpi) dell'Aja per chi ha commesso o commetterà crimini di guerra e contro l'umanità. «Tutto dipenderà dalle parole scelte» nella risoluzione, ha spiegato Baodong scambiando alcune battute con i giornalisti prima di entrare in Consiglio, riunitosi a porte chiuse, confermando che Pechino non ne discute la sostanza. Il testo della risoluzione, di cui l'Ansa ha ottenuto una copia, recita: il Consiglio «decide di riferire sulla situazione in Libia dal 15 febbraio 2011 al procuratore della Corte Penale Internazionale». Pechino, secondo fonti diplomatiche, chiede un riferimento più generico ad una possibile azione della Corte. Il francese Gerard Araud, confermando che c'è accordo sul principio di sanzioni contro il regime, ha sottolineato sia l'importanza di quello che sta succedendo in Medio Oriente in queste ore, sia la svolta osservata al Palazzo di Vetro, dove le cose, questa volta, stanno andando veramente molto in fretta.
Erdogan: «La Turchia è contraria alle sanzioni verso la Libia» Ma sulle sanzioni non c'è concordia. Il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, ha detto di essere contrario a qualsiasi sanzione contro la Libia, stimando che questo tipo di provvedimento non farebbe che colpire il popolo libico, e accusando le grandi potenze di agire solo per «calcolo» in funzione del petrolio libico. «Qualsiasi intervento renderà la situazione ancora più difficile. Si colpirebbe non il governo, ma il popolo libico. Non potete assicurare la pace nel mondo facendo ricorso a sanzioni a ogni incidente», ha dichiarato il capo del governo di Ankara sulla tv turca. «Facciamo appello alla comunità internazionale perché tratti della Libia non avendo in mente le preoccupazioni riguardanti il petrolio, ma i valori umani universali e la giustizia», ha detto Erdogan. «Facciamo appello alla comunità internazionale - ha aggiunto - perché smetta di fare calcoli sulla Libia e di lavorare invece per trovare il mezzo per far cessare le sofferenze del popolo libico». Erdogan ha rilasciato queste dichiarazioni dopo una consultazione telefonica con il presidente americano, Barack Obama.
Il figlio di Gheddafi propone di trattare con gli oppositori Ma una qualche novità sembra venire anche dalla stessa Tripoli, dove Saif al Islam, figlio di Gheddafi, ha proposto in tarda serata di sospendere gli attacchi contro gli oppositori del regime e di avviare un negoziato con loro. Gheddafi junior ha inoltre smentito che mercenari abbiano partecipato agli attacchi contro i manifestanti, dopo che questi ultimi avevano denunciato di africani arrivati dal Ciad e dal Mali coinvolti nella repressione. Per il vice ambasciatore della missione libica all'Onu, Ibrahim Dabbashi, il numero di morti in Libia si conta a migliaia e non a centinaia. Altre fonti parlano di un numero di vittime che oscilla tra trecento e mille. Sul campo, mentre la regione orientale petrolifera è nelle mani dell'opposizione armata che organizza una nuova amministrazione, a Tripoli le forze filo-Gheddafi dispiegate intorno alle moschee per impedire le proteste hanno sparato sui manifestanti. Nell'est della città, almeno due dimostranti sono stati uccisi di simpatizzanti del colonnello nel quartiere popolare di Fashloum, secondo un testimone. In questa zona, come in quella di Ben Ashour, testimoni hanno segnalato raffiche di colpi «su tutti coloro che si trovavano in piazza».
Il "Times": «Gheddafi ha depositato 3 miliardi di sterline a Londra» Il colonnello Gheddafi, rivela oggi il Times, ha depositato almeno 3 miliardi di sterline presso un banchiere privato di Mayfair, a Londra, in modo da mettere al riparo parte delle sue fortune dalle sanzioni decise nella notte dagli Usa che prevedono anche il congelamento dei suoi beni, di quelli della sua famiglia e dei principali esponenti del regime. L'accordo col gestore di Mayfair sarebbe stato raggiunto grazie a un intermediario svizzero. Un primo manager privato, raggiunto dall'intermediario, avrebbe declinato l'offerta una volta venuto a conoscenza dell'identità del titolare del fondo. Il deposito di Mayfar conferma che da tempo Gheddafi si è organizzato per trasferire ingenti fondi in banche private.
Ancora tensioni in Egitto Piazza Tahir ieri notte è tornata ad essere teatro di tensioni: poco dopo la mezzanotte, la polizia militare ha circondato qualche centinaio di manifestanti, e li ha dispersi a colpi di manganelli e pistole elettriche, come confermano fonti della sicurezza e testimoni. Ci sono stati diversi arresti, ammette l'esercito. Nella giornata di ieri migliaia di egiziani si erano riuniti sulla piazza simbolo della lotta contro l'ex presidente Hosni Mubarak per celebrare la "rivoluzione" e chiedere un nuovo governo tecnico, in grado di gestire la transizione democratica. Anche se l'esercito egiziano ha presentato scuse ufficiali, gli attivisti pro-democrazia hanno convocato per oggi nuovi raduni per protestare contro l'accaduto.
Manifestazioni bloccate in Tunisia e Algeria Anche in Tunisia le forze dell'ordine sono intervenute con i gas lacrimogeni per disperdere circa 300 manifestanti anti-governativi davanti al ministero dell'Interno. Un importante dispositivo di polizia ha rapidamente avuto ragione dei manifestanti e ha ordinato alle persone che si trovavano per strada di rientrare a casa. Diversi poliziotti in borghese e con indosso dei passamontagna si sono lanciati nelle strade adiacenti all'avenue Habib Bourguiba dove è situato il ministero, alla ricerca dei manifestanti. Diverse macchine della polizia pattugliavano il centro di Tunisi che è stato chiuso alla circolazione. Ieri la polizia era già intervenuta davanti alla sede del ministero dell'Interno con i lacrimogeni per allontanare un gruppo di manifestanti che cercava di scalare l'edificio e che aveva incendiato o saccheggiato tre commissariati del centro. In Algeria un centinaio di manifestanti del Movimento per il cambiamento e la democrazia (Cncd) sono stati bloccati questa mattina non appena giunti nel centro di Algeri dove è stata convocata a Piazza dei Martiti una manifestazione non autorizzata dalle autorità. Tra i bloccati, lo stesso presidente del Partito per la Cultura e la democrazia (Rcd), il deputato Said Sadi. Le forze dell'ordine hanno respinto i manifestanti verso il lungomare. In piazza anche manifestanti filogovernativi, che hanno innalzato striscioni inneggianti al presidente Bouteflika. Giovedì le autorità algerine avevano revocato come promesso lo stato di emergenza imposto 19 anni fa e questa scelta ha avuto l'effetto di paccare l'opposizione.
In Iraq attacco terroristico contro la più grande raffineria del paese Tre linee di produzione della più grande raffineria irachena, nella città di Baiji, nel nord del paese sono state distrutte da un attentato. A riportarlo è la tv di stato dell'Iraq. Degli sconosciuti sarebbero penetrati nello stabilimento verso le 4.40 (le 2.30 italiane), hanno ucciso due ingegneri e quindi fatto esplodere una bomba nell'unità nord. Secondo il portavoce Assem Jihad, questa unità ha prodotto 150mila barili al giorno. La raffineria di Baiji, costruita nel 1982 e situata 200 chilometri a nord di Baghdad, produce 205mila barili al giorno, ossia circa il 35 per cento della capacità di raffinazione del paese che si attesta a 550mila barili al giorno, al di fuori del Kurdistan. «Questo attacco fa parte di un complotto che riguarda gli impianti petroliferi per sabotare i ricavi dell'Iraq in questo settore», ha affermato il ministro del Petrolio, Abdel Karim al-Luaybi, in un comunicato. Secondo il sito israeliano di intelligence Debkafile, dietro l'attentato vi sarebbe una cellula di Al Qaedab attivata dalle Brigate Al Quds, il fior fiore della guardia rivoluzionaria iraniana: Teheran starebbe cercando di strumentalizzare la turbolenza nel mondo arabo per ridurre le forniture di greggio, provocando un'impennata dei prezzi. Una "guerra del petrolio" condotta attraverso atti di sabotaggio, a partire dall'attacco sferrato al gasdotto del Sinai il 5 febbraio scorso, in piena rivolta egiziana.