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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2011 alle ore 07:46.

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Il freno ai pm: ufficio dell'accusaIl freno ai pm: ufficio dell'accusa

Un'operazione di «immagine e propaganda» oppure una «riforma storica»? Un'«alterazione dell'equilibrio tra poteri per addomesticare la magistratura», oppure una legge che «dà ai cittadini la garanzia della parità tra accusa e difesa» e quindi di un «giusto processo»? Ai posteri l'ardua sentenza. Certo è che i 18 articoli varati ieri dal governo non sono un semplice maquillage della Costituzione, ma introducono grosse novità. Soprattutto sull'assetto dei pubblici ministeri.

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La scelta di separarne la carriera dai giudici non poteva essere indolore perché implicava un'altra scelta, ancora meno indolore: se farne una casta intoccabile o un ufficio dell'accusa alle dipendenze dell'Esecutivo. Due opzioni pericolose, ma inevitabilmente legate alla separazione delle carriere. E il governo - pur con le attenuazioni dell'ultima ora - ha optato per la seconda. Non in modo esplicito ma pur sempre evidente.

Il pm viene qualificato dall'articolo 5 del ddl come «Ufficio» e la sua «organizzazione» è demandata alle norme dell'ordinamento giudiziario che «ne assicurano autonomia e indipendenza». Bisognerà quindi attendere una delle 11 leggi di attuazione annunciate ieri, per capire come sarà in concreto «organizzato» questo Ufficio e, soprattutto, se l'indipendenza sarà riferita - e garantita - all'Ufficio o ai pm che lo compongono. Non è irrilevante visto il contesto in cui si inserisce questa prima modifica. L'Ufficio del pm, infatti, pur mantenendo sulla carta l'obbligo di esercitare l'azione penale, dovrà attenersi ai «criteri stabiliti dalla legge», ovvero alle priorità individuate dal Parlamento «in base all'allarme sociale», ha spiegato il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Anche qui sarà una legge di attuazione a stabilire come verranno «scelte» le priorità. Alla Camera, però, già c'è un ddl di Luigi Vitali (Pdl) che affida al ministro della Giustizia il compito di sottoporre al Parlamento la scelta fatta sulla base di «proposte» del Procuratore generale della Cassazione e dei ministri dell'Interno e dell'Economia. In ogni caso, sarà la maggioranza politica di turno a decidere su quali reati l'Ufficio del pm dovrà indagare con precedenza sugli altri. E l'operato dell'Ufficio del pm sarà controllato annualmente in sede politica: la riforma stabilisce infatti che il ministro della Giustizia riferisca alle Camere sull'esercizio dell'azione penale e sull'uso dei mezzi di indagini.

Ma anche un altro punto della riforma rivela l'attrazione del pm nell'alveo dell'Esecutivo. Riguarda i rapporti con la polizia giudiziaria. Oggi pm e giudice ne dispongono «direttamente», avverbio cancellato dal governo, che rimanda alla legge per «le modalità» con cui i magistrati dovranno usare la pg. E in Parlamento già ci sono alcuni ddl della maggioranza (al Senato quello del governo sul processo penale n. 1440, alla Camera quello di Vitali n. 2048) da cui si capisce che il pm potrà indagare solo sulla base di notizie di reato mandategli dalla polizia (che, va detto per inciso, dipende dal ministero dell'Interno).

Il controllo dell'Esecutivo sul pm sarebbe stato eclatante con le modifiche previste inizialmente sul Csm – prevalenza dei componenti laici sui togati e presidenza affidata al Pg della Cassazione eletto dal Parlamento - ma poi abbandonate anche per evitare un dissenso esplicito del Quirinale. La stesura finale del ddl prevede due Csm, per giudici e pm, presieduti dal Capo dello Stato e composti per metà da togati (sorteggiati tra gli eleggibili) e per metà dal Parlamento. La vicepresidenza, in entrambi i casi, spetta a uno dei laici. L'"autogoverno" - com'era stato inteso dai padri costituenti - ne esce ridimensionato, anche perché i poteri disciplinari (oggi affidati allo stesso Csm, unico per tutti) vengono trasferiti alla «Corte di disciplina della magistratura» divisa in due sezioni (una per i pm, l'altra per i giudici) composta anch'essa per metà da laici e da togati ma presieduta da un laico eletto dal Parlamento affiancato da un vice laico. Un riassetto «per evitare l'attuale giustizia domestica», ha spiegato Alfano.

Ai due Csm, peraltro, viene tolto il potere di adottare «atti di indirizzo politico» e di esercitare funzioni diverse da quelle, amministrative, previste dalla Costituzione. In casi eccezionali, potranno invece destinare magistrati nelle sedi scoperte, in deroga al principio di inamovibilità. Ma se i poteri del Csm si riducono, si espandono quelli del ministro della giustizia, poiché viene costituzionalizzata la sua funzione ispettiva.

Altre tre novità rilevanti. Come un qualsiasi impiegato dello Stato, le toghe pagheranno di tasca propria gli errori commessi, in particolare nei casi di ingiusta detenzione o di indebita limitazione della libertà. Inoltre, le sentenze di proscioglimento (come quelle per prescrizione) non saranno più appellabili (salvo eccezioni previste dalla legge). Infine, si consente la nomina elettiva anche dei magistrati onorari.

La nuova legge entrerà in vigore il giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta, ma non si applicherà ai processi in corso: norma transitoria inserita all'ultimo momento per evitare disastri. Ma ci vorrà una legge per regolare nel dettaglio da quale fase dei processi in corso scatteranno le nuove regole. Una legge per ora non prevista, che dovrà aggiungersi a quelle «già pronte», assicura Silvio Berlusconi, per far camminare subito la «riforma epocale».

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