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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2011 alle ore 08:53.

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AEROPORTO DI HANEDA (TOKYO) - È panico e fuga degli stranieri da Tokyo, non ancora per i giapponesi. Dopo l'esplosione di questa mattina presso un altro reattore della centrale di Fukushima Dai-ichi, la radioattività fuoriuscita,la conferenza stampa del premier Kan (che ha ammesso gli alti rischi di danni per la salute umana), l'eventualità che la situazione si aggravi e le fughe radioattive investano l'area metropolitana di Tokyo e i suoi 30 milioni di persone ha indotto la popolazione straniera - consigliata in tal senso da molte ambasciate - a cercare di lasciare la metropoli ora che è possibile farlo con mezzi ordinari e non c'è ancora troppa congestione. È però difficile trovare posto sugli aerei diretti all'estero.

Allo scalo di Haneda (per lo più dedicati ai voli interni), vari stranieri che non hanno trovato il biglietto per l'estero stanno prendendo quelli per il Kyushu, nel sud: intanto vogliono allontanarsi, poi sperano di lasciare il Giappone da Fukuoka che ha numerosi voli internazionali. Certo ci sono anche giapponesi che lasciano una città dove ormai molte cose non funzionano a puntino come sempre: dai trasporti alla facilità di approvvigionamento (fenomeni di accaparramento hanno lasciato molti negozi a corto di prodotti). Ma la maggioranza dei giapponesi sembra ancora fidarsi ciecamente del governo: se il premier Kan ha dato i consigli del caso (stare in casa, non esporre la biancheria all'aria aperta, non utilizzare i ventilatori, eccetera) solo alle persone che vivono entro dieci chilometri dalla zona evacuata di 30 chilometri attorno ai reattori di Fukushima, il lavoro procede come sempre nella maggior parte degli uffici di Tokyo. «Non posso certo dire che ho paura ed evitare di presentarmi», dice l'ingegnere della Panasonic Takeshi Muraki, 49 anni, sul volo della Japan Airlines partito alle 13.50 da Akita, 700 chilometri a nord di Tokyo e arrivato allo scalo metropolitano di Haneda un'ora dopo (alle 7 ora italiana).

Il volo era pieno: non solo persone che si recano al lavoro nella metropoli come se niente fosse, ma anche altre che ci vanno per i più svariati motivi. «Vivo a Akita con mio marito, ma mia madre sta male e quindi vado a trovarla», dice Kiko Fujiwara, 41 anni. Ma il marito non l'ha sconsigliata? «Al momento non hanno detto che c'è un vero pericolo per la capitale». Pensare che poco prima della partenza si è diffuso il timore che le condizioni meteo favorissero lo spostamento di una eventuale nube radioattiva proprio in direzione sud-ovest. «Noi giapponesi non siamo ancora al punto di cedere alla paura», afferma un altro passeggero, Y. ("Way") Watanabe (61 anni, ingegnere meccanico) che però aggiunge in modo incongruo: «La conferenza stampa del premier? Penso che nemmeno lui sappia quello che sta succedendo». Beato lui che da questo convinzione dettata dal disprezzo diffuso per i politici non trova motivo di apprensione. Watanabe, comunque, come qualche altro passeggero, a Tokyo non resta: torna al luogo di residenza e lavoro nel sud, a Okayama... Anche per qualche altro passeggero la destinazione finale è un'altra: i vari aeroporti chiusi nella regione del Tohoku hanno annullato la possibilità di molti voli diretti. «Quando le autorità ce lo diranno, ce ne andremo», dice il tecnico informatico Tadashi Tozawa, 55 anni.

Così tutti si sono imbarcati, anche se dagli schermi tv dell'aeroporto non si nascondeva il forte peggioramento della situazione a Fukushima. All'aeroporto di Akita (tra l'altro con i bar che non avevano più nulla da servire: nell'intero Tohoku, il Giappone settentrionale, è in corso una crisi di distribuzione e scarseggia la benzina) solo un cinese era preoccupatissimo perché non trovava voli almeno per l'Hokkaido, al fine di spostarsi ancora più lontano da Tokyo e in mancanza di possibilità di volare direttamente verso il continente. Insomma, pare che per i giapponesi sia il governo oppure la "kaisha" (la società per cui lavorano), a essere titolati a decidere anche quando avere paura.

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