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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2011 alle ore 09:16.
L'ultima modifica è del 22 marzo 2011 alle ore 06:36.

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L'Italia ha un obiettivo immediato nella crisi libica: ricondurre il complesso delle operazioni sotto il comando dell'Alleanza Atlantica. È un punto delicato ma essenziale. Roma non può osservare passivamente il peso crescente che la Francia di Sarkozy si sta guadagnando sul campo, in quanto nazione che ha preso l'iniziativa contro Gheddafi e la mantiene da protagonista, non senza un pizzico di spregiudicatezza.

La Libia, come è noto, rappresenta un teatro fin troppo sensibile per gli interessi italiani e perciò la risoluzione dell'Onu sembra essere una condizione necessaria, ma non sufficiente per affrontare gli sviluppi militari. Aggiungere la Nato all'Onu significa ristabilire un certo ordine nella catena di comando, oggi molto frammentata. Ed è chiaro che un tale riassetto finirebbe per dare un ruolo maggiore all'Italia, il paese che ospita un gran numero di basi messe a disposizione dell'offensiva aerea alleata, basi che sono parte della struttura Nato.
La questione è complicata, ma riportata all'essenziale si riassume in una frase: il governo di Roma vuol contare di più. È stato un po' sorpreso (come altri, del resto) dall'accelerazione francese e adesso vuole evitare di perdere altro terreno. Anche perché sulla Libia si è creato, sì, un certo clima di unità nazionale, bene interpretato dal presidente della Repubblica, ma fino a quando reggerà?

Intanto la maggioranza è ferita dai distinguo della Lega. Nella posizione espressa da Bossi e Calderoli c'è tutto lo scetticismo verso il buon esito della spedizione punitiva contro il dittatore libico. I leghisti sono pessimisti e convinti che i partner europei (la Francia in primo luogo) non hanno alcuna intenzione di aiutare l'Italia a gestire il flusso imponente dei clandestini in arrivo. Ne deriva che contare di più sullo scenario libico significa per Roma avere migliori carte da giocare. Subito, rispetto alle manovre militari e ai loro risvolti «umanitari» (leggi controllo degli immigrati). In prospettiva, quando si tratterà di governare il dopo-Gheddafi e preservare per quanto possibile i nostri investimenti.
Detto questo, bisogna riconoscere che al momento la situazione è confusa. Da un lato, infatti, l'Italia rivendica i suoi diritti davanti ai partner europei e pone con forza la questione della Nato e delle basi poste sul territorio nazionale. Dall'altro, però, Berlusconi prende la parola dopo un lungo silenzio e dichiara che i nostri aerei in missione sui cieli libici «non hanno sparato e non spareranno mai». Posizione che tende a rassicurare Bossi, in primo luogo, ma anche tutti coloro che nel Pdl sono diffidenti per l'inasprirsi del conflitto (vedi Formigoni).

Riassumendo. L'Italia vuole un impegno concreto della Nato (come la Gran Bretagna, del resto), ma esita a utilizzare i suoi caccia al pari degli alleati. Non vuole restare indietro rispetto alla Francia e intende anzi cogliere un successo diplomatico, tuttavia è frenata dalle suggestioni neutraliste della Lega. Lo stesso presidente del Consiglio sembra l'immagine della prudenza, quasi fosse poco convinto della linea abbracciata dai paesi occidentali.
A questo punto è urgente una seduta del Parlamento. In quella sede Berlusconi - non il ministro degli Esteri o della Difesa - potrà restituire coerenza all'intera vicenda. È evidente che prendere parte all'azione in Libia è indispensabile per conservare credibilità in politica estera, ma occorre spiegare agli italiani come stanno le cose.

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