Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2011 alle ore 10:10.

My24
Opere ferme, poco lavoroOpere ferme, poco lavoro

C'è un filo rosso che lega le 10 puntate (e non sono finite!) dell'inchiesta del Sole 24 Ore su "Perché l'Italia non cresce". Per dipanare questo filo basta ripercorrere i temi e i perché, seguendo l'ordine cronologico dei contributi. Per quel che riguarda la ricerca, bisogna ricordare che una parte della R&D italiana non viene registrata come tale, in quanto si infila nella trama e nell'ordito di quel peculiare tessuto produttivo che sono i distretti industriali: quegli agglomerati in cui, come diceva Alfred Marshall, «è come se i segreti del mestiere volteggiassero nell'aria».

Ma le cifre raccolte da Gian Maria Gros-Pietro sono egualmente impietose: la ricerca è un raccordo-chiave fra pubblico e privato, attaverso incentivi e finanziamenti diretti, e la bassa quota di reddito nazionale dedicata a questo cruciale humus dell'innovazione indica che in quel raccordo c'è qualcosa che non va.

L'Italia non cresce a causa della palla al piede del Mezzogiorno? Luca Paolazzi ribalta questa leggenda metropolitana: lo Stato è carente al Sud, e «uno Stato efficiente rimetterebbe in moto l'intera economia italiana, ma con un effetto moltiplicativo proprio per il Sud che darebbe così una spinta propulsiva a tutto il Paese».
Il lavoro è l'altro snodo cruciale, nei meccanismi dell'economia di mercato, fra le giunture pubbliche e quelle private.

In Italia il mercato del lavoro è schizofrenicamente diviso fra un garantismo spinto e un precariato selvaggio, ben disegnati da Pietro Reichlin. Sta allo Stato il compito di mediare fra le parti sociali e promuovere forme contrattuali atte a rimuovere un dualismo che oggi penalizza la crescita, appannando la voglia di assumere da una parte, e creando, dall'altra parte, una generazione di giovani ansiosi e sfiduciati.

Opere pubbliche e Fondi strutturali potrebbero fare molto per rimuovere una delle vere palle al piede dell'economia italiana, la scarsa dotazione di infrastrutture. Ma, come denunciano Giorgio Santilli e Carmine Fotina, gli investimenti in opere pubbliche sono nettamente diminuiti e la cronica incapacità a spendere i Fondi europei, da parte delle pubbliche amministrazioni (specie meridionali) non trova soluzione. Dieci anni fa il "contratto con gli italiani", firmato da Silvio Berlusconi, comprendeva una promessa precisa, illustrata "con bacchetta e cartine", sulle grandi opere, ma a oggi le opere concluse sono poche.

Il risparmio delle famiglie, come illustra Antonio Quaglio, viene assorbito da titoli pubblici e depositi: la politica diffida della contendibilità delle società quotate e il mercato azionario soffre di una minorità che costringe le imprese a una stretta dipendenza dal credito bancario.
Là dove il lubrificante dell'economia di mercato - la certezza del diritto - è tutto di competenza pubblica, la situazione si fa disperata. Le inchieste di Lionello Mancini e di Donatella Stasio sulle disfunzioni della giustizia civile e penale si leggono con orrore (o per meglio dire, con ammirazione per la scrittura e orrore per le situazioni descritte). L'incertezza del diritto comporta fatica per gli imprenditori italiani e ripulsa per gli investimenti esteri in Italia.


Fatiche e ripulse cui non sono estranei anche gli alti costi di quell'input onnipresente nei processi produttivi che è l'energia. Federico Rendina castiga una politica energetica che, mantenendo basso il grado di concorrenza e incapacitando perfino l'estrazione di gas e petrolio sul nostro territorio, impone a famiglie e imprese una mortificante "tassa da insipienza energetica"

Il filo rosso a questo punto si rivela chiaramente: la ruggine che impedisce all'Italia di crescere sta, come si adombrava all'inizio di questa inchiesta (vedi il Sole-24 Ore del 24 marzo), nell'incapacità della politica di promuovere un "bene comune" rettamente inteso. Questo non vuol dire addossare le colpe solo al pubblico. Il "male italiano" fu già ben disegnato da Riccardo Bacchelli: nel "Mulino del Po" il grande scrittore descrive i sentimenti della mugnaia Cecilia rispetto al "pubblico": «Governo e Stato eran noti soltanto come cosa da difendersene...». E quei politici che reputano "ingenerose" le critiche di quanti, come la presidente della Confindustria Emma Marcegaglia, lamentano di essere "lasciati soli", potrebbero ritorcere che ci sono troppi italiani che condividono, a distanza di un secolo e mezzo, i sentimenti della mugnaia Cecilia.

Proprio per questo è giunto il momento di metter da parte lo sterile esercizio di addossar colpe e puntare il dito. Da molti - troppi - anni l'economia italiana cresce meno delle altre, e le proiezioni appena rese note dal Fondo monetario per quest'anno e per il prevedibile futuro mostrano una perdurante minorità di crescita. Una minorità che fatalmente tende a sfilacciare anche il tessuto sociale, innescando un circolo vizioso di sfiducia e stagnazione. Da questa situazione non si esce se non con un colpo d'ala, con un progetto condiviso fondato su poche priorità e forti impegni. Una missione impossibile in questa temperie, diranno alcuni. Ma è impossibile anche continuare a navigare con un vascello senza vele e senza timone.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi

301 Moved Permanently

Moved Permanently

The document has moved here.