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Questo articolo è stato pubblicato il 26 aprile 2011 alle ore 09:00.
L'ultima modifica è del 26 aprile 2011 alle ore 09:31.

Il settore distributivo moderno – che muove un volume d'affari intorno ai 100 miliardi l'anno nel solo comparto dei beni di largo consumo – avrebbe ampie potenzialità di crescita in Italia ma, come fanno rilevare all'Ancd-Conad (sulla base di un'indagine analitica) si scontra con i forti vincoli allo sviluppo posti a livello regionale e gli svantaggi per il sistema-Paese sono forti. Come ha sottolineato Camillo De Berardinis, presidente Ancd-Conad, occorre «liberare risorse economiche tramite l'apertura dei mercati ancora chiusi alla concorrenza». E nel caso del commercio «occorre eliminare le barriere vincolistiche poste a livello locale» e innestare la concorrenza in comparti come quello della benzina e dei farmaci nei quali la liberalizzazione delle attività di vendita è solo agli inizi.
«Cambiare il commercio innovando – interviene Mariano Bella, direttore dell'ufficio studi di Confcommercio – è senz'altro corretto e auspicabile, anche per i potenziali guadagni di produttività connessi. Ma cambiare il commercio modificando i connotati del Paese è un'altra cosa: richiede una riflessione profonda ed estesa e un eventuale consenso politico che non sono ancora emersi». Confcommercio non si chiude in difesa. «Bisogna servire i consumatori – conclude Bella – attraverso il pluralismo distributivo: formule e formati di ogni tipo oggi convivono in un modello che, vale la pena dirlo, è invidiato nel mondo, tanto che in diversi Paesi c'è un tentativo, forse anche disperato, di tornare indietro, al fine di recuperare la prossimità. Prossimità non è concetto meramente spaziale: è relazione con il cliente. È prossimità con il cittadino-consumatore».
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