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Questo articolo è stato pubblicato il 19 maggio 2011 alle ore 17:21.

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Obama prepare il Piano Marshall per il mondo araboObama prepare il Piano Marshall per il mondo arabo

Tunisia
Il 17 dicembre 2010, nella città tunisina di Sidi Bouzid, il venditore ambulante di verdure Mohamed Bouazizi si dà fuoco in piazza. Morirà il 4 gennaio. Dal suo gesto scaturisce la sollevazione popolare in Tunisia, la "Rivoluzione dei gelsomini", che ha innescato una serie di contraccolpi a catena che coinvolgono molti Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. I dimostranti chiedono la fine della dittatura di Zine El-Abidine Ben Ali e manifestano contro la corruzione di cui è intrisa la Tunisia, contro la disoccupazione endemica, contro l'aumento dei prezzi e per una maggiore libertà, sistematicamente conculcata da un regime repressivo durato 23 anni. Lo scontro si radicalizza (i morti saranno in tutto circa ottanta). Il 14 gennaio Ben Ali è costretto a scappare in Arabia Saudita. L'atteggiamento dell'esercito ha avuto un ruolo di primo piano nell'accelerare la frana del regime. Il primo ministro Mohamed Ghannouchi, cresciuto nei ranghi benalisti, cerca di guidare la transizione, impasta e rimpasta a più riprese il proprio governo, ma manca dell'autorevolezza per imporre una road map per la ricostruzione delle istituzioni del paese. Il 25 febbraio centomila tunisini scendono in piazza per chiedere le dimissioni di Ghannouci, che il 27 lascia l'incarico. Lo sostituisce Béji Caïd Essebsi, un altro veterano della politica tunisina, già a più riprese ministro nei governi guidati dal primo presidente del paese, Habib Bourguiba. Vengono indette per il 24 luglio elezioni per un'Assemblea costituente. Il 7 marzo il nuovo governo ad interim, il terzo dalla caduta di Ben Ali, annuncia anche un nuovo passo importante: la dissoluzione della polizia segreta. Il 13 aprile il ministro della Giustizia, Lazhar Karoui Chebbi, annuncia che Ben Ali, la sua famiglia e alcuni esponenti dell'inner circle dell'ex presidente dovranno rispondere di 44 capi di imputazione, tra cui cospirazione contro lo Stato, omicidio volontario e traffico di droga. Nella prima settimana di maggio scoppiano violenti moti antigovernativi, al cui esplodere non è estranea un'affermazione dell'ex ministro degli Interni Farhat Rahji, secondo cui l'esercito starebbe organizzando un golpe da attuare nel caso di vittoria dei partiti confessionali nelle elezioni del 24 luglio. A seguito dei disordini, viene indetto il coprifuoco nella capitale dall'8 al 18 maggio. In questi dieci giorni vengono effettuati 1.400 arresti. Tra i fermati, otto persone sono imputate di omicidio e alcune decine di aggressioni e violenze. Il 17 maggio, presso Rouhia, si registra uno scontro a fuoco tra l'esercito e un gruppuscolo di uomini armati che sarebbero affiliati ad al Qaida nel Maghreb Islamico.

Egitto
Le prime proteste di piazza in Egitto si sviluppano il 25 gennaio al Cairo e ad Alessandria. Le parole d'ordine dei manifestanti sono: basta con la corruzione, più lavoro, più libertà, prezzi meno alti per i beni di primo consumo e soprattutto stop al regime autoritario del "Faraone" Hosni Mubarak, al potere da trent'anni e da tempo impegnato ad aprire per il figlio Gamal una strada moquettata verso la sua successione. I disordini si diffondono in molte città (i morti, alla fine, saranno più di 350). Piazza Tahrir al Cairo diventa il cuore geografico e simbolico della "Rivoluzione del Loto". Il 29 gennaio viene nominato vicepresidente l'ex capo dei Servizi egiziani, Omar Suleiman. Sarà lui ad annunciare, l'11 febbraio, la fine dell'era di Hosni Mubarak. L'ex presidente, anziano e malato, si è ritirato lontano dal palcoscenico a Sharm el-Sheikh. Il potere passa temporaneamente all'Alto Consiglio militare. Il 3 marzo si dimette il primo ministro Ahmed Shafik. Lo sostituisce Essam Sharaf. Nella seconda settimana di marzo si registrano scontri di origine confessionale tra copti e musulmani, con alcuni morti. L'8 marzo gruppi di uomini aggrediscono una manifestazione di donne in piazza Tahrir. Il 19 marzo nel referendum costituzionale vince con il 77 per cento il "sì", sostenuto, tra gli altri, dai Fratelli Musulmani (mentre la gran parte dei partiti politici di opposizione si erano espressi per il "no"). Venerdì 1 aprile decine di migliaia di manifestanti, perlopiù giovani, si radunano a piazza Tahrir in una dimostrazione accompagnata dallo slogan: "Salviamo la rivoluzione". La folla chiede le dimissioni di personalità compromesse con il regime caduto e un processo contro Mubarak. L'8 aprile l'esercito tenta di disperdere la folla radunata a piazza Tahrir. Negli scontri che seguono ci sono due morti e alcuni feriti. L'11 aprile un tribunale militare condanna a tre anni di reclusione il blogger Maikel Nabil Sanad, per "insulti alle forze armate" presenti nei suoi post. La sentenza, la prima di questo tipo dalla caduta del rais, suscita molte proteste. Il 13 aprile Hosni Mubarak e i suoi figli Gamal e Alaa vengono arrestati e posti sotto custodia cautelare. L'ex presidente ha una crisi cardiaca. A più riprese si verificano aggressioni contro la comunità copta da parte di frange dell'islamismo radicale. Lo scontro interreligioso assume tratti di grande violenza e provoca morti e feriti. La comunità internazionale è preoccupata anche per l'addolcirsi delle relazioni tra il nuovo governo del Cairo e due "nemici" dell'Egitto di Mubarak, Hamas e il regime iraniano. Il 5 maggio l'ex ministro degli Interni, Habib Al Adly, viene condannato a 12 anni per riciclaggio di denaro e peculato. Il 17 maggio la moglie dell'ex rais, Suzanne Mubarak, che era stata arrestata e aveva avuto una crisi cardiaca, viene rilasciata in cambio della consegna del suo patrimonio, valutato in circa 4 milioni di dollari (ma rimane indagata).

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