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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2011 alle ore 17:34.

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Il campionato esce di scena così come s'era presentato. Divorzi annunciati e separazioni inattese, promesse di ingaggi milionari. Il grande mercato delle illusioni si è ufficialmente aperto anche se mancano un paio di verdetti e la finale di Coppa Italia. È l'eterna caccia al colpo grosso, per i pochi che se lo possono permettere e che ora pretendono di pigliare a ceffoni i più deboli con il ricatto del "non compro più da te".

Grandi contro piccole, così è sempre stato e sempre sarà. Con una differenza, non da poco, che la dice lunga sullo stato di salute del pianeta calcio. Il divario tra i club più ricchi (meglio sarebbe dire con maggiori capacità d'indebitamento) e i più poveri si è trasformato in un baratro rispetto solo a un decennio fa. Fenomeno, va detto, non solo italiano ma che coinvolge l'intero movimento europeo sempre più esposto alle tirannie calcistiche, con la doverosa eccezione della Germania, non a caso il campionato più seguito dal pubblico negli stadi.

I soldi di Champions e tv e i debiti della serie A
La furibonda contesa sui diritti televisivi mette in luce solo la fragilità evidente delle poche terre emerse del pianeta calcio italiano. La sceneggiata del presidente della Lazio, Claudio Lotito, con il pittoresco richiamo alla costituzione di una task force per controllare la regolarità del campionato, si spiega con i milioni di euro che possono derivare dalla sola partecipazione alla Champions, senza contare l'indotto commerciale che ne deriva.

La prossima stagione sarà comunque l'ultima con quattro squadre italiane nella massima competizione. Dal 2012, a causa dei ripetuti insuccessi dei nostri club, i posti saranno solo tre. Ma la maggior preoccupazione viene dalle regole imposte dalla Uefa sul fair play finanziario a partire dal 2013. Se il diktat dello "spendi solo quanto ricavi" fosse applicato da oggi, per fare un esempio, Milan e Inter sarebbero fuori, va detto in illustre compagnia con il Chelsea, il Manchester United e il City.

L'aumento delle perdite
C'è da intervenire e in fretta, perché i debiti accumulati in serie A hanno sfondato il tetto dei 600 milioni di euro mentre il costo dei tesserati e gli ammortamenti dei calciatori raggiungono l'80% del valore della produzione. Sono dati del recente studio realizzato da Deloitte sui risultati della stagione 2009-2010 che pure ha registrato un aumento del 3,6% dei ricavi. La perdita della gestione finanziaria è tuttavia aumentata: «L'apporto dei capitali da parte dei proprietari delle società - rileva il partner Deloitte, Riccardo Raffo - risulta ricoprire un ruolo determinante per la sostenibilità del business della seria A». Dietro la querelle in Lega c'è dunque la lotta per la sopravvivenza perché i diritti tv rappresentano oltre la metà dei ricavi complessivi. Per chi non ha alle spalle grandi mecenati, la permanenza nella massima serie è questione vitale. Perciò la retrocessione è un dramma e non più solo una sconfitta. Addio introiti, sponsor più avari e pubblico in fuga o dipinto solo sugli spalti, com'è accaduto a Trieste.

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