La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, è stata diretta ed esplicita: il nuovo ius variandi dei contratti in banca non può consentire la modifica unilaterale dei «tassi sui mutui». La preoccupazione era tutt'altro che infondata, a leggere il dispositivo dell'articolo 8 del decreto sviluppo. Il rimando all'articolo 118 del Testo unico bancario cita i «contratti a tempo indeterminato». Il mutuo a un'impresa "non micro" (con più di 2 milioni di fatturato o almeno 10 dipendenti) lo è o no? La risposta non è scontata.

Il mutuo è certamente un finanziamento «a medio-lungo termine», ma, almeno formalmente, non «a tempo indeterminato», come il fido per lo scoperto di conto corrente. Fin dal varo della norma era quindi opinabile che l'operazione principale di finanziamento industriale potesse entrare nel raggio del nuovo ius variandi sul tasso. Ma certezze non ce n'erano e ciò veniva confermato dall'orientamento (tacito) del sistema bancario a non applicare la regola, in attesa che l'Economia precisasse la regola in sede di conversione del decreto. Quindi i timori erano fondati.

Ora, l'intesa che si profila dà maggiori certezze alle imprese e può essere ben accettata da tutti.

Anche se circoscrivere lo ius variandi ai mutui futuri con meccanismi definiti (vedi altro articolo in pagina) non spegnerà il pressing delle banche sull'ammissibilità sostanziale del diritto a cambiare autonomamente i tassi sui mutui.

La premessa resta l'aumento esponenziale dell'incertezza economica e l'avvento conseguente della nuova vigilanza microprudenziale (Basilea 2 e 3). Entrambe sono condizioni che obbligano l'intermediario a rinforzare le tutele anti-rischio nel medio-lungo periodo: le tutele patrimoniali (garanzie di rimborso; ma anche quelle economiche (tasso d'interesse).

Il tasso è il "prezzo di mercato" per il rischio (merito di credito) che la banca si assume finanziando un cliente: famiglia, impresa grande o piccola. E soprattutto per la clientela corporate (e in particolare quella di dimensione minore) le prospettive economiche sono oggi molto più imprevedibili e instabili. Un tasso negoziato oggi su un mutuo industriale quinquennale (oppure su un mutuo chirografario di "finanza aziendale") può non essere più giudicato "corretto" dalla banca dopo un solo anno, in base all'esclusiva valutazione del posizionamento dell'impresa sul suo mercato.

In gioco non sono le fluttuazioni dei tassi-base di mercato, ma gli "spread" che le banche applicano alle singole aziende via via con rating più strutturati: è il solco principale della lunga e contrastata marcia di "Basilea 2".

Al di là che l'instabilità economica possa diventare una sorta di nuovo «giustificato motivo» per cambiare i tassi in corsa, il punto critico resta questo: nella "finanza d'azienda" il merito di credito di un cliente è unico e cambia continuamente.

È il raggio d'azione del "diritto di variare" da parte della banca che può essere fissato di volta in volta per decisione normativa di politica economica o sulla base di accordi tra grandi controparti: com'è stato, nello stesso decreto sviluppo, per la portata dei cosiddetti "tassi usurari", resi meno stringenti. E non è un mistero che quest'ultima misura fosse una delle richieste più pressanti del sistema bancario, che sollecitava un po' di ossigeno per la propria redditività, messa sotto pressione dalla crisi proprio quando Basilea 3 accelera le ricapitalizzazioni.

Sull'altro piatto delle bilancia, l'«impresa bancaria» ha messo le moratorie sui mutui famiglie e sui prestiti alle Pmi. Ma per le «imprese non bancarie» - soprattutto le medie - non avere certezze sui tassi dei mutui è un onere improprio in questo momento non tollerabile.