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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2011 alle ore 17:47.

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Cambia poco, eppure moltissimo. Dei quattro quesiti referendari, quello sul «legittimo impedimento» era decisamente il più politico ma è stato anche il più bistrattato da stampa e tv nonché nei dibattiti politici. La vittoria del «sì» ne amplifica quindi la valenza politica perché travolge l'azione del governo e della maggioranza sulla giustizia, in particolare su tutti quei provvedimenti (o norme) che, come il legittimo impedimento, sono state giustificate con l'esigenza di sottrarre Silvio Berlusconi alla «persecuzione» dei magistrati, derogando al principio dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Insomma, dalle urne è uscito un no alle leggi ad personam e allo scontro con le toghe.

Sul piano pratico cambia poco. La vittoria dei sì anticipa di quattro mesi la morte naturale della legge 51 del 2010 o, meglio, delle norme di quella legge sopravvissute alla bocciatura della Consulta sia pure con una serie di avvertenze che le riconducevano, di fatto, nell'alveo della disciplina del Codice di procedura penale sul legittimo impedimento. Resta più che mai fermo il principio, quindi, che spetta al giudice valutare, caso per caso, il «legittimo impedimento» addotto dall'imputato premier o ministro per non comparire in udienza e ottenere un rinvio e che la funzione di governo non può diventare una forma di ostruzionismo processuale.

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