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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2011 alle ore 07:34.

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New York - Casa Bianca e Congresso hanno raggiunto un accordo per evitare un drammatico default degli Stati Uniti. Ad annunciarlo è stato lo stesso presidente Barack Obama verso le nove di ieri sera: «L'intesa - ha detto - ci consentirà di porre fine alla crisi e di sollevare un'ombra che si allungava sull'economia».

I principali leader democratici e repubblicani, che hanno negoziato senza sosta per l'intero fine settimana con la Casa Bianca, hanno sottoscritto il compromesso e indicato che lo illustreranno ai parlamentari oggi, per arrivare il più rapidamente possibile a un voto. Il piano prevede un innalzamento del tetto del debito di 2.400 miliardi e tagli spesa per circa altrettanto in dieci anni.

La partita non è ancora del tutto chiusa, anche se la Casa Bianca si augura che sia solo questione di ore e che nei due partiti non emergano pericolose ribellioni. Obama conta di rivere il progetto sulla scrivania per la firma entro martedì sera, quando altrimenti scatterebbe un rischio di default che può mettere in forse i pagamenti federali, prima ancora che quelli sul debito gli assegni delle pensioni e gli stipendi di dipendenti pubblici e militari. «Non abbiano ancora finito il lavoro - ha ammonito il presidente - Invito tutti a sostenere questa intesa».

I mercati, da giorni sempre più nervosi per la paralisi di Washington, hanno tirato un immediato sospiro di sollievo alla notizia del compromesso. Sulle piazze asiatiche, le prime ad aprire i battenti, l'indice Nikkei della Borsa di Tokio ha guadagnato l'1,7% e il dollaro si è rafforzato dell'1,4% sullo yen. I future sugli indici di Borsa americani hanno a loro volta anticipato rialzi. Gli investitori attendono adesso di analizzare i dettagli del compromesso e di conoscere il giudizio delle grandi agenzie di rating, che avevano minacciato di declassare gli Stati Uniti.

Il tetto dul debito, stando a quanto finora filtrato del compomesso, sarà alzato in tre fasi, subito di 400 miliardi per scongiurare il default, poi di altri 500 miliardi e infine, l'anno prossimo, di 1.500 miliardi. Il Congresso potrebbe bloccare questi rialzi ma Obama avrebbe il diritto di veto sulle decisioni parlamentari. Gli aumenti del tetto porterebbero il paese fino al 2013, oltre le elezioni dell'anno prossimo come chiesto dalla Casa Bianca.

I tagli di spesa, sui quali hanno insistito i repubblicani, seguono una simile progressione: 900 miliardi inzialmente, seguiti da circa 1.500 miliardi che verranno identificati da una speciale super Commissione parlamentare composta di dodici membri, sei repubblicani e sei democratici. Questa Commissione dovrà raccomandare i risparmi entro l'anno, tra cui revisioni del sistema fiscale e di altri programmi federali. Qualora fallisse, scatterebbero dei cosiddetti "trigger", grilletti automatici: il Congresso sarebbe tenuto ad approvare un emendamento costituzionale per imporre il pareggio di bilancio (una scelta improbabile) oppure a dar seguito a tagli ad ampio raggio. Su questi risparmi automatici c'è stata la maggior discussione sul finire delle trattative: l'intesa prevede che per metà arriviano dal bilancio del Pentagono e in parte da Medicare, il programma di assistenza sanitaria per gli anziani. Ovvero due capitoli di spesa ai quali tengono molto i repubblicani (la difesa) e i democratici (la sanità), in modo di incentivare la Commissione a non venir meno alla sue responsabilità. Non viene invece toccato, per l'opposizione dei democratici, il sistema pensionistico del Socìal Security; dove era allo studio una riforma dell'indicizzazione all'inflazione.

Il compromesso è stato raggiunto dopo voti in rapida successione al Congresso nel corso degli ultimi tre giorni, che avevano bocciato i progetti contrapposti avanzati dai due partiti consentendo alle trattative di riprendere. La Camera ha approvato un piano repubblicano preparato dallo speaker John Boehner (video) venerdì sera, solo per vederlo bocciare dal Senato due ore dopo. In seguito un piano democratico preparato dal leader del Senato Harry Reid è stato respinto dai deputati e non ha trovato consensi sufficienti neppure tra i senatori. A quel punto, a partire da sabato sera, il leader repubblicano al Senato, Mitch McConnell, ha ripreso i contatti con la Casa Bianca, anzitutto con il vicepresidente Joe Biden. E domenica i contatti sono proseguiti in un'atmosfera di crescente ottimismo: fin dalla mattinata Reid si era detto «cautamente fiducioso» e McConnell aveva definito un'intesa «molto vicina».

Il Nikkei festeggia, ma gli analisti restano cauti su Tokyo (di Stefano Carrer)

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