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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2011 alle ore 08:10.

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Alla vigilia del Consiglio europeo di oggi l'Europa ha voluto lanciare messaggi di ottimismo sulla possibilità di trovare un'intesa sul salvataggio della zona euro. Ieri sera emergeva un primo accordo sulla delicatissima questione relativa alla ricapitalizzazione delle banche. Più incerti tuttavia gli altri temi sul tappeto: la ristrutturazione del debito greco e il rafforzamento del fondo di stabilità Efsf.

I ministri finanziari hanno «fatto dei progressi e possiamo raggiungere gli obiettivi ambiziosi che ci siamo prefissati da qui a mercoledì», ha detto il cancelliere Angela Merkel ieri sera prima di partecipare a una riunione dei capi di Governo del Partito popolare europeo qui a Bruxelles. «Siamo in riunione permanente», ha aggiunto il presidente francese Nicolas Sarkozy. «Stiamo facendo progressi».
La presa di posizione è giunta alla fine di una giornata segnata da riunioni-fiume dell'Ecofin e dell'Eurogruppo. Il ministro delle Finanze svedese Anders Borg è rimasto cauto: "Abbiamo gettato le basi per un'intesa sulla questione del criterio patrimoniale e abbiamo fatto progressi sul fronte della ricapitalizzazione" delle banche. Secondo le prime informazioni l'operazione avrà un valore di 108 miliardi di euro.

C'è la speranza che un accordo formale possa essere sancito dai capi di Governo che si riuniranno oggi qui a Bruxelles. La partita di ieri è stata difficile. Alcuni Paesi, tra cui la Spagna e l'Italia, hanno negoziato sia sulle modalità della ricapitalizzazione che sui nuovi livelli di patrimonio. Un Core Tier One al 9%, così come proposto da più parti, è superiore a quello richiesto da Basilea III, almeno per le banche più piccole.
I Paesi recalcitranti hanno messo l'accento sul timore che una richiesta patrimoniale troppo elevata, troppo ambiziosa, avrebbe probabilmente tranquillizzato i mercati finanziari sullo stato di salute delle banche, ma avrebbe nel contempo preoccupato gli investitori sull'impatto per i conti pubblici se i Governi nazionali fossero costretti a intervenire nella stessa ricapitalizzazione.

Ieri sera sempre molto ingarbugliata era la trattativa sulla ristrutturazione del debito greco, intimamente legata alla questione della ricapitalizzazione degli istituti creditizi. L'accordo europeo del 21 luglio prevedeva che le banche detentrici di titoli greci avrebbero accettato volontariamente una decurtazione del 21% in media. Oggi due fattori hanno modificato il quadro: l'andamento dei mercati e l'evoluzione dell'economia.
Da un lato, il calo dei prezzi rende l'accordo di luglio troppo attraente per le banche. Dall'altro, l'ultimo rapporto sulla sostenibilità del debito mostra che il deterioramento della congiuntura negli ultimi tre mesi è stato drammatico. Si calcola che la Grecia abbia bisogno di aiuti finanziari per 252 miliardi di euro da qui alla fine del decennio, e non più 109 miliardi come si pensava a metà anno.

A questo punto una maggiore decurtazione del debito greco in mano alle banche diventa indispensabile. Del 50%? Del 60%? Ieri sera non era ancora chiaro. Il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker ha detto che sarà «sostanziale». Charles Dallara, il direttore dell'Institute of International Finance, l'organismo che raggruppa le banche a livello mondiale, ha risposto, freddo: «Ci sono progressi nelle discussioni, ma limitati».
Ricapitalizzazione delle banche e rinegoziazione del debito greco sono due operazioni legate a doppio filo. I governi sono d'accordo per aiutare, se necessario, a rafforzare il patrimonio degli istituti di credito, in cambio però di un loro contributo nella soluzione della deriva greca. Altrettanto complicata appare la questione del potenziamento del fondo di stabilità Efsf, che oggi ha una dotazione limitata, appena 440 miliardi di euro.

Tenuto conto dalla decisione di molti governi di non mettere nuovo denaro sul tavolo, due sono le opzioni: la trasformazione del fondo in assicuratore con l'impegno di sobbarcarsi eventuali perdite degli obbligazionisti; o la nascita di un veicolo speciale, collegato all'Efsf e possibilmente al Fondo monetario internazionale, con il compito di attirare denaro privato e pubblico da utilizzare per acquistare titoli sui mercati.
Il tema è delicato. La Germania non vuole che l'Efsf possa accedere alla Banca centrale europea, ma vuole potenziarlo, evitando però di dover chiedere l'autorizzazione al Bundestag. Quadrare il cerchio non è facile, tanto che ieri la signora Merkel ha ribadito che il Consiglio europeo di oggi non porterà a «decisioni definitive» poiché i negoziati sono «molto difficile tecnicamente». Scelte chiare sono attese solo nel vertice di mercoledì.

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