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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2011 alle ore 08:47.

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Hechmi Haamdi (Afp)Hechmi Haamdi (Afp)

La Tunisia si è bruscamente svegliata stanotte dal sogno di essere un Paese libero, pacificato e democratico, precipitando di nuovo nell'incubo della violenza. Rashid Ghannouchi, leader del partito islamico moderato Ennahda, vittorioso alle elezioni del 23 ottobre con il 41,47% dei voti, nove mesi dopo la caduta dell'ex presidente Ben Ali, promette «entro una settimana o al massimo dieci giorni» un governo guidato dal suo vice, Hamadi Jbeli e ribadisce che Ennahda intende rappresentare la versione più moderata dell'Islam in politica, sul modello dell'Akp turco del premier Recep Tayyip Erdogan.

Ma la promessa di stabilità non basta: i blindati tornano nelle strade di Sidi Bouzid a contrastare migliaia di persone, soprattutto giovani, che hanno attaccato i simboli del potere: governatorato, tribunale, municipio e sede della guardia nazionale. Ma anche la sede del potere che verrà, quello di Ennahdha, partito vincitore delle elezioni che proprio oggi ha dettato la sua agenda indicando in una decina di giorni il tempo necessario per il varo del nuovo Governo.

Ad alzare la tensione la cancellazione di alcune liste di Petition Populaire (PP), il partito di Hachmi Hamdi, che proprio a Sidi Bouzid ha avuto la sua base elettorale più solida e che si sta sbriciolando dopo la scelta del suo leader di non entrare nell'Assemblea nazionale. La protesta, partita pacificamente per replicare a Hammadi Djebali, prossimo premier e numero due di Ennahdha, che aveva bollato come «ignoranti» gli elettori di PP (costringendo oggi Rached Gannouchi a metterci una pezza), è diventata un fiume in piena che s'è abbattuto su tutto ciò che agli occhi dei
manifestanti poteva essere un obiettivo.

Una protesta che non s'è fermata davanti a nulla e che, in un tam tam alimentato forse da sms, forse sul web, o per una precisa regia, è dilagata investendo altre città (Meknassi, Menzel BouzayŠne, Regueb, Bir Lahfey e Mazouna), sia pure con minore violenza. La risposta dello Stato è arrivata, ma forse tardiva e, dicono alcuni testimoni, con scelte poco comprensibili, discutibili o addirittura sospette, quando, a forze di polizia e soldati schierati, è stato consentito ai manifestanti di devastare la sede della guardia nazionale, in un episodio che riporta a gelosie mai sopite che risalgono al periodo della dittatura, con Ben Ali che non nascondeva le sue simpatie. Il ministero dell'Interno si è mosso anche per prevenire: già stamattina, quando ancora nel cielo di Sidi Bouzid si levavano colonne di acre fumo nero provocato dall'incendio di decine di pneumatici accatastati in mezzo alla strada, ha imposto un coprifuoco molto lungo (dalla 19 alle 7) che, a tempo indeterminato, consegnerà in quelle ore le strade della città solo a pattuglie in armi.

Tutto questo mentre da stamattina uffici, negozi e scuole sono chiusi. La sensazione comunque è che a Sidi Bouzid sia andato in scena qualcosa di diverso da una protesta politica, alimentata dal sospetto che ci sia chi soffi sul fuoco della rabbia popolare e della violenza di strada per minare alla base la democrazia. Non a caso Gannouchi ha subito puntato il dito contro «forze legate all'ex dittatore Ben Ali». Perché, ed è solo un esempio, chi ha attaccato e bruciato il tribunale per rabbia aveva evidentemente motivazioni diverse da quelli che, approfittando della confusione, hanno svaligiato l'ufficio del Palazzo di Giustizia dove erano custoditi i quantitativi di droga sequestrati della polizia. Il timore insomma è che sulle proteste di ieri e di oggi si stia proiettando l'ombra di chi - gli elementi più duri dell'Rcd, partito ormai fuorilegge perchè vicino a Ben Ali - non si sia affatto rassegnato a perdere il potere.


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