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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2011 alle ore 08:28.
L'ultima modifica è del 01 dicembre 2011 alle ore 08:39.

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L'opinione pubblica resta il principale alleato di Mario Monti. Per cui è giusto che il presidente del Consiglio affermi di non voler «seguire i sondaggi per non farmi illusioni», ma in questa frase c'è in fondo la punta di civetteria di chi si compiace per le percentuali raccolte finora, pur rendendosi conto che il dato è effimero per definizione. Resta il fatto che la credibilità del governo alimenta la fiducia dei cittadini e quest'ultima, tradotta nei sondaggi, costituisce un eccellente cordone sanitario steso a protezione dello stesso esecutivo.

È un circolo virtuoso che in questa fase va preservato a ogni costo, senza ritardi e incertezze. Anche perché siamo ormai nel pieno della partita decisiva. I tempi si stringono e tutto conferma che le misure stanno per prendere forma. È evidente che si tratterà di una manovra molto ambiziosa, dall'impatto significativo sulla vita degli italiani. Monti si muove con crescente sicurezza all'interno di un triangolo irrinunciabile: l'Europa, il Parlamento e, appunto, la pubblica opinione.

Nei vertici con l'Unione il premier porta la ritrovata credibilità del governo; dai partner accetta le sollecitazioni a fare presto, il che lo aiuta sul piano interno. Ma agli stessi partner offre il concorso italiano per salvare l'Europa dal disastro. Intanto al Parlamento di Roma il presidente del Consiglio si accinge a parlare il linguaggio della verità, in una cornice che si potrebbe definire degasperiana. Ed è piuttosto chiaro che egli non intende farsi irretire nella rete dei partiti, consapevole che il rischio esiste.

Non mancano in queste ore i colloqui riservati, le informazioni, i suggerimenti. I provvedimenti a favore delle famiglie di cui hanno parlato Casini e Lupi, ad esempio, sono plausibili. Ma siamo al di fuori della «ritualità» concertativa del passato, perché non è più pensabile arrendersi ai veti incrociati. Il governo «tecnico» di cui Monti è il leader non può che rappresentare l'antitesi dei vecchi meccanismi tendenti alla paralisi. Del resto, il presidente del Consiglio rispetta, sì, i partiti, ma preferisce raccordarsi sul piano istituzionale con i presidenti di Senato e Camera. Tanto è vero che proprio da Palazzo Madama si è diffusa ieri pomeriggio la conferma che entro Natale la manovra dovrà essere approvata in via definitiva.

In altre parole, le forze politiche stanno vivendo una condizione che ha pochi precedenti. «Il governo tecnico cambia i partiti» recitava ieri il titolo di un commento di Emanuele Macaluso sul «Riformista»: una lancia spezzata a favore del processo di maturazione che centrodestra e centrosinistra possono realizzare all'ombra di Monti. Tuttavia questo percorso passa oggi attraverso la necessità di approvare quasi a scatola chiusa, senza averle granché concordate, le misure d'emergenza. Un passaggio dal profilo anche drammatico senza dubbio Monti non sottovaluta.

Nelle sue mani c'è un'arma ed è la simmetria. A parte il «terzo polo» che rappresenta lo schieramento super-montiano, Pdl e Pd dovranno infatti spartirsi l'aspetto doloroso del pacchetto anti-crisi. Lo faranno solo attraverso una forma di disarmo controllato. Il Pd dovrà accettare la riforma delle pensioni nonostante il «no» della Cgil; il Pdl dovrà digerire una qualche sorta di patriomoniale, sulle cui caratteristiche tecniche si sta discutendo. Il sentiero è obbligato e su questo cozzano le contraddizioni dei due schieramenti. È qui che i partiti potranno cominciare a «cambiare», come dice Macaluso. Ma sarà un cammino faticoso, non esente da feroci tensioni. Ecco perché il terzo lato del triangolo, l'opinione pubblica, è così importante per il premier. E oggi il sentimento collettivo lo si conquista solo con la serietà e il disinteresse.

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