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Questo articolo è stato pubblicato il 06 gennaio 2012 alle ore 06:39.

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Banche contro Stati, salvataggi a due velocitàBanche contro Stati, salvataggi a due velocità

Cento miliardi di euro. Forse qualcosa in più. Erano i soldi che servivano, a inizio 2010, per stoppare sul nascere la spirale perversa della crisi greca.
Un intervento, certo imponente, ma decisivo per evitare l'avvitamento su sè stessa della crisi ellenica e il suo dirompente effetto-contagio sull'intera stabilità dell'area dell'euro.
Da dove spuntano quei 100 miliardi e per fare cosa? Quell'iniezione di denaro in un colpo solo avrebbe riportato il livello del debito greco alla soglia assai meno inquietante del 100% sul Pil. Con altri 23 miliardi si poteva colmare il deficit di bilancio del 2010 di Atene. E con un ulteriore soccorso di 44 miliardi si sarebbe portato il livello del debito sul prodotto interno al livello attuale della Germania, intorno all'80 per cento. Con 167 miliardi si mandavano in soffitta per qualche anno i guai greci. Oggi, due anni dopo, la Grecia viaggia con un debito al 164% del Pil, una recessione profonda e un passivo di bilancio al 9%. Si è perso tempo e l'influenza è diventata polmonite. Non solo per la Grecia, ma per tutti i paesi deboli dell'euro.

Ma si poteva intervenire in modo draconiano o è pura fantasia? Difficile dirlo con il senno di poi. Del resto chi obbligava l'Europa con la sua moneta unica, ma senza un Governo unico a soccorrere un paese inaffidabile e che il debito se l'era tutto costruito da solo? Quel debito non potevano certo sanarlo nè i tedeschi nè tanto meno finlandesi o francesi. Sarebbe stata una bestemmia. E così si è andati avanti prendendo tempo, traccheggiando, centellinando gli aiuti in piccole tranche.
Morale: la crisi è degenerata e ha prestato il fianco al più grande attacco finanziario all'Europa da parte di capitali in cerca di occasioni di guadagno. Prima il ventre molle ellenico, poi la Spagna e l'Italia. Con gli spread impazziti come non mai nel 2011 e le borse di tutta Europa che hanno vissuto l'anno scorso il loro annus horribilis. Con la crisi greca fuori controllo, ecco l'attacco all'Italia e perchè no anche alla Francia. Con i capitali Usa, fondi monetari in testa con i loro 700 miliardi di dollari, a fuggire dall'Europa continentale. Giù i prezzi dei bond pubblici, giù le borse.
Si poteva intervenire già nel 2010 anche sull'Italia, garantendo con 300 miliardi l'obiettivo di portare il debito/Pil al 100% e con 560 miliardi a livello tedesco. Non si è fatto per la Grecia figuriamoci per l'Italia.

Il costo dell'inazione
Il non aver agito per tempo, l'inazione o meglio l'inanità dei governi europei e l'assenza di un prestatore di ultima istanza come la Fed americana ha avuto così un costo salatissimo. Per i greci, ma in realtà per l'intera Europa, Germania inclusa. Nel solo 2011 la ricchezza finanziaria bruciata sull'altare di una crisi lasciata incancrenire è pesante. Le borse dell'area euro hanno perso la bellezza di 520 miliardi di euro. Di questi ben 200 miliardi hanno riguardato le borse di Francia e Germania.
Ma non solo le borse hanno punito l'Europa zoppa della moneta unica senza Governo federale. Il parco bond della Repubblica italiana ha perso in media in conto capitale circa 160 miliardi di euro nell'apice della crisi degli ultimi mesi del 2011. I bond greci sul mercato segnano perdite per 135 miliardi e 36 miliardi i bond portoghesi.
Il conto sarà anche approssimativo ma siamo tra Borse e obbligazioni nell'ordine degli 850 miliardi di ricchezza finanziaria andata in fumo. Pagata dai risparmiatori europei. Poi va aggiunto il costo di mutui, prestiti alle imprese rincarati sull'onda degli spread impazziti. Si arriva facilmente ai mille miliardi.

L'interventismo anglosassone
Eppure la crisi dell'euro non nasce in Europa. Il prologo è tutto americano. La crisi tutta privata è partita da Wall Street. La turbo-finanza, fatta di mutui subprime e titoli tossici, dal crack Lehman in poi ha visto implodere il sistema bancario anglosassone. Cosa è avvenuto lì? I Governi Usa e britannico, la Fed e la Banca d'Inghilterra hanno messo in campo le contromisure: l'aiuto diretto e indiretto per salvare l'intero sistema bancario dei due paesi è stato, secondo i dati Mediobanca, di 2.800 miliardi di dollari (2.200 miliardi di euro) per Wall Street e di oltre 1.200 miliardi di euro per Londra e Dublino. Uno sforzo immenso. Ma che ha permesso a distanza di tre anni di schivare la crisi strisciante che invece ha avviluppato l'Europa della moneta unica.
Lo si è fatto perchè lì non dovevano accordarsi 17 capi di Stato e le due banche centrali hanno inondato il sistema di liquidità. Ha avuto un prezzo: il debito a salire in condizioni oggi peggiori dell'eurozona e con un deficit di bilancio allargato al 9-10 per cento del Pil contro il 4 per cento dell'area euro.
Tutto ovviamente ha un costo che da privato è diventato pubblico. Ma è solo la gabbia stretta dell'Europa, zoppa di guida politica, che finisce per trasformare l'influenza in polmonite.

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