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Questo articolo è stato pubblicato il 13 gennaio 2012 alle ore 07:43.

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La Spagna ieri aveva in programma di collocare 5 miliardi di nuovi titoli di Stato a tre e cinque anni. Ma l'interesse degli investitori è stato così intenso, che Madrid ha raccolto un ammontare doppio e ha potuto spuntare rendimenti molto più bassi rispetto a quelli dell'ultima asta: dal 5,187% al 3,384% per i triennali.

L'Italia ha registrato un successo analogo nella sua asta di BoT annuali: gli stessi investitori che li snobbavano a dicembre quando rendevano intorno al 6%, ieri li hanno acquistati come se fossero pepite per un tasso d'interesse lordo del 2,73%. E lo stesso buon umore si è riversato sui titoli di Stato a lunga scadenza, con gli spread scesi per tutti i Paesi: -38 punti base per l'Italia (a quota 479), -17 per la Spagna (a 340), -16 per la Francia (a 121), -22 per il Portogallo (a 1.047).

Di fronte a questo buon umore due sono le ipotesi: o lo scenario europeo è nettamente migliorato, oppure la speculazione anti-Europa ha semplicemente cambiato strategia. Sarebbe bello pensare che l'ipotesi giusta fosse la prima, ma i progressi fatti dalla politica europea verso la soluzione della crisi giustificano solo un cauto ottimismo. Non euforia. La realtà è forse meno poetica: i titoli di Stato a breve scadenza sono acquistati soprattutto dalle banche che hanno usufruito dei finanziamenti agevolati della Bce, mentre quelli a lunga scadenza sono comprati oggi da tutti quegli investitori che nel 2011 avevano speculato contro i BTp. Le ragioni, insomma, sono soprattutto tecnico-speculative. E hanno le loro radici nel 2011.

La grande scommessa
Partiamo dunque da qui. Il 2011 era iniziato bene per l'Italia. A gennaio i BTp decennali rendevano 1,83 punti percentuali più dei Bund tedeschi e sette mesi più tardi erano ancora fermi sulla stessa soglia. Ai tempi era la Spagna a impensierire gli investitori, dato che lo spread sui Bund era pari a 2,50 punti percentuali. Poi, improvvisamente, scoppia la tempesta. Non in Italia, né in Spagna.

Ma più a est: in Grecia. A luglio la crisi di Atene deflagra e l'Unione europea dimostra di non sapere come risolverla. Solo il 21 luglio, a Bruxelles, i leader europei raggiungono un accordo: a pagare il conto della crisi ellenica – stabiliscono – saranno anche gli investitori, che dovranno sopportare una perdita del 21%. Sembrava la quadratura del cerchio. Purtroppo questa si è ben presto rivelata la peggior decisione che i capi di Stato potessero prendere.

Nel "salvataggio" greco c'è infatti una polpetta avvelenata: il valore dei titoli greci viene "sforbiciato" del 21%, ma per vari motivi questa perdita non dà diritto al risarcimento per chi ha comprato credit default swap (speciali polizze assicurative). Insomma: gli investitori che si erano assicurati contro il crack greco, scoprono che le loro polizze sono carta straccia. Per loro, dunque, non resta che vendere titoli greci. E poi anche italiani e spagnoli: chi può essere sicuro che, prima o poi, anche Spagna o Italia non facciano lo stesso scherzo? È così che lo spread spagnolo sale in 15 giorni a 397 punti base e quello italiano a 387. Siamo ad agosto.

La crisi degenera per tutti. Ma per l'Italia di più: la debolezza del Governo Berlusconi e il pasticcio della manovra d'estate la rendono infatti il Paese più vulnerabile. Questo rafforza la speculazione: gli investitori iniziano a vendere BTp e a comprare Bund, scommettendo sull'allargamento del loro differenziale. Questo diventa il leit motiv di fine 2011.

La grande cautela
Nel 2012, però, cambia qualcosa. Innanzitutto la Bce, a fine dicembre, eroga 489 miliardi di euro al tasso agevolato dell'1% alle banche: questo induce le banche (soprattutto in Spagna) a comprare titoli di Stato a breve termine. Ovvio il motivo: ottenendo denaro all'1% e investendolo in BoT al 5-6-7%, il guadagno è assicurato. Ecco che i rendimenti per i BoT e dei BTp a breve scadenza scendono a passi da gigante, inducendo anche gli altri investitori ad aggregarsi.

Da qualche giorno iniziano a vedersi anche timidi acquisti sui BTp a lunga scadenza. «Ne vedo tanti dalla Germania», riferisce un addetto ai lavori. Ma anche questo fenomeno ha una motivazione ben precisa: tutti i grandi investitori che nel 2011 hanno speculato sull'allargamento dello spread, oggi sanno che quel gioco non può più dare grandi guadagni. Anzi, presenta grandi rischi: con un BTp decennale al 7% e un Bund sotto il 2%, con lo sforzo fatto dal Governo italiano e con i primi passi europei verso il «fiscal compact», il rischio è che questa speculazione si ritorca contro chi l'ha fatta. Ecco perché gli investitori stanno piano piano iniziando a smontarla. Cioè comprare qualche BTp.

Purtroppo, però, sempre qui siamo: alla speculazione e ai timidi passi della politica. Nulla di veramente nuovo. Anche perché i fattori di preoccupazione, che potrebbero far cambiare il vento, sono ancora tanti. A partire dalla crisi greca. È per questo che mentre smontano la speculazione BTp/Bund, gli investitori ne costruiscono altre sempre contro l'Europa: scommettono sul ribasso dell'euro (comprando e vendendo opzioni put), oppure – come suggerisce Goldman Sachs – prendendo nuovamente a bersaglio la Francia. L'anno cambia, le strategie cambiano. Ma tutto il resto rimane uguale: del resto quando i mercati finanziari sono molto più grandi dell'economia reale, sono loro a guidare le danze.

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