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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2012 alle ore 08:11.

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«Non è una buona notizia, ma neppure una catastrofe». Il ministro dell'Economia François Baroin ha commentato così, al termine di un lungo vertice all'Eliseo al quale hanno partecipato anche il premier François Fillon e il ministro del Bilancio Valérie Pécresse, l'uscita della Francia dal club della tripla A in versione Standard & Poor's.

Si tratta di una decisione talmente preannunciata da aver perso tutte le caratteristiche di una sorpresa. Lo stesso presidente Nicolas Sarkozy aveva provveduto a preparare il terreno. Se ancora in ottobre confidava ai suoi principali collaboratori che «se la Francia perde la tripla A sono morto», già il 12 dicembre, una settimana dopo l'avvio da parte di S&P della procedura di declassamento, dichiarava che «sarebbe una difficoltà in più, ma non insormontabile».
«Non saranno i mercati e le agenzie di rating a dettare la politica alla Francia», aveva detto negli auguri televisivi di fine anno. Concetto rilanciato ieri da Baroin. «Bisogna conservare il sangue freddo, non sono le agenzie a fare la politica francese», ha detto il ministro, confermando che non ci sarà una nuova manovra di bilancio.

Eppure era stato proprio questo uno dei punti chiave evidenziati da S&P all'inizio di dicembre. Secondo l'agenzia i 17 miliardi di correzione dei due piani d'austerità di agosto e novembre non saranno infatti sufficienti a rispettare l'obiettivo di un deficit 2012 al 4,5% del Pil.
A fronte di una crescita sempre più asfittica. Il 2011 si dovrebbe chiudere con un Pil in aumento dell'1,6%, rispetto all'1,75% previsto dal Governo. E la situazione nel frattempo è peggiorata. La Francia è entrata in recessione, con un ultimo trimestre 2011 in flessione dello 0,2% e un primo trimestre 2012 in calo dello 0,1 per cento. Mentre le previsioni per quest'anno oscillano ormai intorno alla crescita zero, quando il bilancio è tarato su un aumento dell'1 per cento. Obiettivo che persino il Governo ritiene ormai irraggiungibile, pur ritenendo che un cuscinetto di 6 miliardi già previsto dovrebbe consentire di tenere sotto controllo il deficit anche con una crescita allo 0,4-0,5 per cento. Se dovesse essere più bassa si provvederà a giugno, dopo gli appuntamenti elettorali.

In realtà è l'intero quadro dei conti pubblici francesi a preoccupare, anche se il deficit 2011 dovrebbe essere leggermente migliore delle previsioni (5,5% del Pil rispetto al 5,7%): debito all'87%, disoccupazione verso quota 10%, spesa pubblica quasi al 57%, pressione fiscale a un passo dal 45 per cento.
I mercati hanno reagito senza scomporsi: la Borsa ha chiuso in sostanziale pareggio (-0,11%) e il tasso sul decennale è salito del 2,33% a 3,073, con uno spread sui titoli tedeschi intorno a quota 125 punti.
Non dovrebbero esserci particolari conseguenze sul costo del rifinanziamento del debito. Cosa che si scoprirà ben presto, visto che giovedì prossimo è prevista un'emissione per circa 8 miliardi. Il problema, per un Sarkozy candidato alla propria successione, potrebbe esserci sul piano politico. Non tanto per il declassamento in sé, quanto per la perdita della parità con la Germania. Certo, i mercati avevano da tempo separato le sorti dei due Paesi, ma di fronte all'opinione pubblica Sarkozy ha sempre trasmesso l'immagine di Francia e Germania sullo stesso scalino del podio. Quello che brucia insomma è il declassamento relativo. Da oggi Berlino avrà una ragione in più per guardare l'alleato dall'alto in basso. E questo per i francesi potrebbe essere davvero insopportabile.

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