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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2012 alle ore 06:36.
Riccardo Sorrentino Un adeguamento alle altre agenzie di rating. Un po' tardivo. La decisione di Moody's di abbassare il rating di sei Paesi europei, tra cui l'Italia, e di dare un outlook negativo a tre Paesi "tripla A" come Francia, Gran Bretagna e Austria, non dice molte cose nuove su cosa sta accadendo in Europa, limitandosi a raccontare qualcosa che ormai - ad ascoltare i mercati - è già vecchio.
Come spesso accade quando giudicano titoli ampiamente trattati sui mercati finanziari, i rating non aggiungono nessuna nuova informazione. Si limitano a testimoniare a parole - a volte paradossalmente meno indicative e decisive dei prezzi - quanto possa essere difficile prendere decisioni di investimento in questo periodo. Il declassamento, nota Moody's, riflette «l'incertezza sulle prospettive delle riforme strutturali del quadro fiscale ed economico», tra cui evidentemente quelle che fissano l'obbligo di pareggio di bilancio. Nello stesso tempo, e in modo un po' contraddittorio, la decisione rispecchia l'incertezza «sulle risorse che saranno rese disponibili per affrontare la crisi», limitate però dallo stesso risanamento fiscale di cui si teme il fallimento.
I mercati hanno già risolto questa contraddizione, possibile ma non inevitabile: sanno che in un contesto di «austerità» fiscale, è la politica monetaria a prendere le redini della ripresa. Oltre che alle riforme già varate (e che è sbagliato sottovalutare proprio mentre Atene brucia...), hanno risposto con cauta lentezza ma in modo positivo - il caso dell'Italia e dei suoi spread è significativo - alle operazioni di liquidità di lungo periodo della Banca centrale europea, che possono essere paragonate negli effetti al quantitative easing della Fed.
La Bce è decisiva, in questa fase: potrebbe forse fare (e, soprattutto, dire) qualcosa di più, nel definire la sua strategia monetaria, per ridurre l'incertezza che ancora aleggia sui mercati, ma è innegabile che la sua iniziativa stia avendo effetto, e senza alimentare preoccupazioni sulle aspettative di inflazione.
È allora davvero molto sorprendente che nel lungo comunicato con cui Moody's giustifica la sua mossa sui rating, nulla venga detto della politica monetaria della Banca centrale europea, e di quanto questa possa e debba fare - soprattutto mentre si varano riforme di risanamento fiscale - per la liquidità, per il credito e, in un'ultima analisi, per la crescita.
All'agenzia di rating non resta, allora, che notare sconsolata - per esempio a proposito dell'Italia - che «le molteplici misure strutturali introdotte dal Governo per promuovere la crescita economia chiederanno tempo per dare risultati», sottolineando poi che solo «la riuscita applicazione delle riforme economiche e fiscali che rinforzino lo schema di crescita dell'economia italiano e il bilancio pubblico sarà positiva per il credito e potrà stabilizzare l'outlook». Un modo sottile per dire che, per il nostro Paese, il ritorno della fiducia degli operatori finanziari sarà molto lento.
Peccato che i mercati raccontino una storia già un po' diversa, che i rendimenti (non solo italiani) siano scesi, e che persino quelli sui decennali, i più "testardi", siano tornati ai livelli di ottobre, che non sono ancora tranquillizzanti ma che segnalano sicuramente un mutato atteggiamento da parte degli investitori. Nulla è definitivo, e tutti possono sbagliare, anche i mercati, ma tra qualche economista alla scrivania con i suoi modelli e migliaia di operatori che rischiano denaro, è facile decidere chi ascoltare per primo.
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