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Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2012 alle ore 08:53.

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Umberto Bossi e Roberto Maroni (Ansa)Umberto Bossi e Roberto Maroni (Ansa)

Bobo Maroni è il nuovo leader della Lega. È stata quella di Bergamo un'auto-incoronazione con un discorso che ha fatto a pezzi il ceto dirigente leghista degli ultimi anni. Maroni ha esordito citando tre stati d'animo: rabbia, dolore, umiliazione. Poi la stoccata: «Mai mi sarei aspettato di essere considerato un partito di corrotti colluso con la mafia: orrore!».

Le telecamere inquadrano Umberto Bossi e Roberto Calderoli: Bossi è livido, Calderoli, che è di Bergamo e nella sua città è costretto a fare scena muta, pietrificato.

Il popolo leghista si scalda quando Maroni cita il buon esempio di Renzo Bossi che ha seguito il padre nella scelta di dimettersi: una selva di fischi all'indirizzo del Trota che impedisce all'ex ministro degli Interni di continuare a parlare.

Lo stesso trattamento viene riservato a Rosi Mauro che non ha voluto saperne di dimettersi malgrado le pressioni poderose del vertice leghista. Spiega Maroni: «Senza di lei avremo finalmente un sindacato vero con un leader padano. Non vuole dimettersi? La dimetteremo noi».
Poi il nuovo leader detta le tavole dei comandamenti che d'ora in poi regoleranno la vita della Lega. Primo: i soldi alla sezione e ai militanti; secondo: meritocrazia; terzo: largo ai giovani. E poi la regola delle regole: «Fuori dal partito chiunque violi lo statuto e il codice della Lega». Perciò «chi sbaglia paga, ma nessuna caccia alle streghe, però dobbiamo finirla con complotti e cerchi».

A questo punto Maroni alza le braccia al cielo e dice: «Tutti uniti per vincere». E scandisce: «Un nome solo: Lega Nord per l'indipendenza della Padania». Quel nome, solo ieri, sarebbe stato Umberto Bossi. E invece Maroni, ormai sicuro di aver superato la prova, insiste elencando i tempi tecnici per i prossimi congressi nazionali e federale: «Quello veneto deve tenersi in contemporanea con l'assise lombarda fissata per i primi tre giorni di giugno; e il congresso federale entro lo stesso mese».

È una nuova sconfessione di Bossi e Calderoli, che avevano deciso di tenere la più importante manifestazione leghista (l'ultima in ordine di tempo risale al 2002) in autunno. Ma ormai gli argini sono rotti e quello che fu il delfino di Umberto Bossi tratteggia l'approdo finale del movimento: diventare alle prossime elezioni politiche il partito egemone del Nord. «Possiamo farcela se rimarremo uniti», urla Bobo.
A Bossi non resta che il ruolo del comprimario: parla di complotti, racconta la storia di Belsito e dell'ex tesoriere della Lega di cui il leghista veneto era autista e factotum.

Poi si cosparge il capo di cenere e ammette di aver sbagliato su Renzo, il Trota: «I figli non devono stare nel partito, avrei fatto meglio a mandarli all'estero». È un'ammissione di colpa plateale, davanti al suo popolo. L'umiliazione che ha subito la Lega ora tocca al suo fondatore e capo supremo.

Maroni lo capisce e quasi per non infierire urla: «Se Bossi si ricandiderà segretario al prossimo congresso federale, io lo sosterrò». È l'aiuto al vecchio padre ormai piegato dall'età, la malattia e gli scandali. Finisce come era iniziata.
L'apparato iconografico padano sempre uguale a se stesso, quasi una liturgia: cornamuse celtiche e coretti degli oltre 4mila militanti leghisti che urlano «Pulizia, pulizia, pulizia».

L'ultima grande manifestazione leghista risale al 18 gennaio di quest'anno quando Bobo Maroni chiamò a raccolta i barbari sognanti al teatro Apollonio di Varese per dire basta allo strapotere del cerchio magico e del suo leader, Marco Reguzzoni, totalmente scomparso dalla scena in questi giorni, inghiottito dalle nebbie padane: «Posso temere uno di Busto?», urlò l'ex ministro degli Interni rivendicando i suoi natali varesini e contrapponendosi proprio all'ex capogruppo alla Camera che è di Busto Arsizio.

Fu un'adunata preveggente: il cerchio magico è rimasto stritolato da un'inchiesta a tenaglia di ben tre Procure della Repubblica e ieri sera Bobo ha ricevuto a furor di popolo l'investitura sulla quale aveva messo un'ipoteca neppure quattro mesi fa.
Quella di ieri però non è una festa padana come le altre. Stavolta c'era in gioco il futuro del movimento, la leadership, la stessa sopravvivenza del partito.

La scopa, eretta a simbolo della serata, oltre che ripulire via Bellerio dovrebbe spazzare via i cattivi presagi che avvolgono i militanti della Lega come le nuvole cariche di pioggia sul cielo di Bergamo.

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