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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2012 alle ore 14:06.

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Che dire poi degli scandali che riguardano i grandi protagonisti del capitalismo finanziario, tra cui la più grande banca d'affari, la Goldman Sachs, ora liberata dal processo sui sub prime, ma né dalle multe ricevute dalla Sec per le manipolazioni del mercato, né dalla responsabilità di aver provocato la nazionalizzazione dell'Aig, con i soldi dei contribuenti, per aver stipulato polizze assicurative (credit default swaps) a copertura di titoli finanziari fallimentari. O ancora del recente scandalo del Libor (London inter bank offered rate), il più importante tasso d'interesse interbancario che ogni mattina diciannove banche globali concordano influenzando i tassi sui prestiti alle imprese e ai consumatori. Per il momento la Barclays è l'unica ad aver ammesso di aver manipolato questi tassi. Difficile pensare che fosse sola.

Chissà se nonostante tutti questi scandali e questi stati di insolvenza, di cui saranno impedite le giuridiche conseguenze, perché le grandi banche sono too big to fail, troppo grandi per fallire e a loro non si applica il diritto vigente, saranno ancora permesse, sempre per l'assorbimento positivo del virus del conflitto di interessi, le elargizioni di cospicui bonus ai manager, anche quando questi hanno portato al disastro economico le società da loro guidate. La conflittualità degli interessi, che provoca il sonno della ragione, è in particolare in questo momento esaltata dalla campagna elettorale, dove tutto e il contrario di tutto viene sovente ammannito alla pluralità degli interi cittadini. Il che renderà assai difficile, se non impossibile, un rovesciamento del pensiero unico e del neoliberismo, dove l'intervento dello Stato serve solo a salvare le banche e aumentare le disuguaglianze, giustificando in pieno che queste possano essere accettate e che i sacrosanti principi di libertà, spesso invocati anche a sproposito, non debbano in nessun modo obbedire a principi di giustizia sociale.

Purtroppo non difforme, ma identicamente bloccata si presenta la situazione in Europa, laddove il conflitto interno del complesso sistema politico tedesco, anch'esso sotto elezioni e ideologicamente incrostato a moralismi di rigore, attualmente tende ad avere il predominio sulla sovranità europea e a imporre come comune denominatore dell'Europa unita lo Ius Publicum Europaeum teorizzato da Karl Schmitt. Non è un caso allora che la stessa Bce, che pur aveva, attraverso le dichiarazioni del suo presidente, dichiarato l'irreversibilità dell'euro e la possibilità di acquistare titoli di Stato dei Paesi in difficoltà, con previsioni di crescite al ribasso e disoccupazione in aumento, è al fine stata costretta, per l'intervento tedesco, a operare solo su richiesta dell'aiuto dei vari Paesi a rischio, ai quali dovranno essere imposte ancora una volta eteronome e austere politiche monetarie, finanziarie, fiscali, e sociali.

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