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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2012 alle ore 08:03.

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Abbiamo lavorato fianco a fianco nella costruzione dell'euro. Kohl, nonostante quello che si è detto nelle interpretazioni successive, era perfettamente consapevole delle difficoltà del Trattato di Maastricht e dell'euro. Abbiamo analizzato insieme i rischi, abbiamo sollevato molte volte il problema della necessità di una strategia forte e coerente in cui l'unione monetaria fosse accompagnata da una crescente unione politica ed economica. Ricordo bene le nostre conversazioni: eravamo pienamente convinti che un processo irreversibile era cominciato, anche se, in quel momento, era politicamente impossibile fare tutto. Ma la strategia era chiara, coerente e realistica e perfettamente consapevole della necessità di passi successivi. Molte volte abbiamo discusso a fondo di quel che bisognava fare in seguito.
Nel frattempo, però, l'Europa è cambiata: dopo gli anni della speranza, siamo entrati negli anni della paura: la paura della globalizzazione, la paura dell'immigrazione, la paura della Cina. Ma, quel che è peggio, la mancanza di fiducia nel nostro futuro. Siamo entrati poco a poco in una situazione in cui le democrazie europee erano spaventate dai partiti populisti e sono diventate schiave di decisioni di breve termine.

Le fondamenta dell'euro erano sane e solide. L'euro ha funzionato perfettamente per sette anni. L'euro piano piano si stava affiancando al dollaro e incontrava il favore delle nuove potenze emergenti, a partire dalla Cina. Quel che era sbagliato non erano le fondamenta dell'euro, ma alcune decisioni successive. E in seguito è intervenuta una crisi finanziaria ed economica imprevista e senza precedenti, partita dagli Stati Uniti. Questa sta devastando l'Europa a causa della nostra mancanza di unità.
L'Unione europea è tuttora una grande potenza nel mondo: la prima in termini di prodotto interno lordo a fianco degli Stati Uniti, la prima nelle esportazioni, grazie soprattutto alla performance della Germania, la prima nello sforzo di mantenere un welfare state sostenibile. L'area dell'euro è nettamente più sana degli Stati Uniti in termini di deficit pubblico. E la prospettiva di rimettere in ordine i conti non appare certo migliore negli Usa di quanto appaia in Europa. Nonostante questa realtà, l'Europa è considerata perdente di fronte alle nuove sfide globali. Semplicemente perché non siamo uniti, perché abbiamo paura di affrontare le nuove sfide dell'inevitabile globalizzazione.

Come economista industriale - e insegnando adesso negli Stati Uniti e in Cina - capisco bene il significato e le conseguenze dell'emergere dell'Asia. La supply chain asiatica, che unisce Cina, Giappone e Corea del sud, nonostante le tensioni politiche, sta crescendo in dimensioni, tecnologia, produttività. Il "distretto Asia" ha lanciato la sfida al mondo. Solo uniti possiamo rispondere a questa sfida, solo uniti possiamo dare una speranza e un futuro ai nostri figli e ai nostri nipoti.

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