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Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2013 alle ore 07:49.

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Il 27 dicembre 2012, al programma UnoMattina, l'onorevole Berlusconi dichiarava: «Dovremo andare a rimettere ordine a tutte le spese dello Stato, che sono quasi 800mila miliardi di euro, e fa ridere pensare che dentro una somma del genere trovare 4 miliardi (per togliere l'Imu sulla prima casa, ndr) di risparmi dentro 800 miliardi ... 800mila miliardi dello Stato è un gioco da ragazzi.

Mi permetto di dire che se qualcuno ha detto che non si può fare questo ritorno, è qualcuno che non capisce niente di economia e di contabilità dello Stato». Trovare 4 miliardi nelle pieghe del bilancio dello Stato sarebbe effettivamente un gioco da ragazzi, se non fosse che 800mila miliardi è di parecchie volte superiore al Pil dell'intera Via Lattea; la spesa pubblica italiana, ovviamente, è 800 miliardi. E questo fa una leggera differenza. Che fosse o no un lapsus, questo passaggio è comunque istruttivo sul problema chiave che aspetta l'Italia nei prossimi anni.
Tutti vogliono ridurre le tasse, almeno sui ceti medi e bassi. Ci sono parecchi modi per farlo. Il primo è di aggiungere o togliere tre zeri quando si stila il bilancio dello Stato, a piacere. Lo vedremo applicato se l'onorevole Berlusconi diventerà ministro dell'Economia, a cui si è candidato. È un metodo certamente originale, ma è ragionevole supporre che non porterà grandi frutti.

Il secondo metodo è aumentare le tasse sui ricchi. Purtroppo i conti non tornano: qualsiasi ragionevole definizione di "ricco" si adotti, e qualsiasi aumento ragionevole di aliquota si ipotizzi, il ricavato non sarà sufficiente per ridurre significativamente e in modo duraturo le tasse sui ceti medio e basso. Il terzo metodo è combattere l'evasione. Ma anche qui purtroppo i conti non tornano: la lotta all'evasione, se funziona, porta risultati tangibili solo dopo molto tempo, per via del contenzioso infinito che genera.
Il quarto metodo è ridurre la spesa pubblica. Per ridurre la pressione fiscale di cinque punti percentuali del Pil in cinque anni, e assumendo una crescita reale dell'1% annuo, bisogna ridurre la spesa di circa 70 miliardi ai prezzi attuali. Alcuni tagli sono previsti dai provvedimenti del governo Monti, ma quasi certamente verranno rivisti dal prossimo governo. E il grosso, in ogni caso, rimane da fare.

Sgombriamo il campo da un equivoco. Vendere immobili e partecipazioni pubbliche va fatto, ma non è una soluzione al problema delle tasse. Se lo stato vende la propria partecipazione in Enel, e usa il ricavato per ridurre il debito lordo, la spesa pubblica primaria e le tasse sui cittadini non cambiano: a minori spese per interessi corrispondono minori introiti da dividendi e tasse sui profitti Enel. Se invece usa il ricavato della dismissione per ridurre una tantum le tasse sui cittadini, qualche altra tassa dovrà aumentare permanentemente per compensare la riduzione degli introiti da dividendi e da tasse sui profitti Enel.

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