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Questo articolo è stato pubblicato il 26 gennaio 2013 alle ore 13:48.

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Aziende confiscate e mai riavute, permessi revocati, beni mobili e immobili letteralmente saccheggiati. Furti legalizzati. E, per chi ha avuto in sorte di ritornare dai campi di concentramento l'amara sorpresa, spesso, di sentirsi richiedere dallo Stato un indennizzo – proprio così, ai perseguitati! – per la gestione dei propri beni.

Il risvolto economico delle leggi razziali in Italia è un ulteriore mattone in quel monumento al Male che è stata la persecuzione antisemita, portata avanti con caparbia meticolosità dal regime fascista e da quello nazista. Il Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) ricorda, anche attraverso i numeri, gli effetti devastanti di quella politica: 6.806 ebrei arrestati e deportati; 5.969 morti (l'88%) e soltanto 837 sopravvissuti. A questo bilancio si devono aggiungere anche i 322 arrestati e morti in Italia, di cui 42 suicidi o uccisi mentre tentavano di sfuggire all'arresto o deceduti in seguito a gravi disagi e privazioni.

A queste cifre si aggiunge o si sovrappone, nel migliore dei casi, quello dei docenti e degli impiegati pubblici che dovettero abbandonare il lavoro, che furono privati della possibilità di esercitare una professione e, di conseguenza, di sostenere la propria famiglia.

Le cifre della predazione
Il Rapporto generale (risalente all'aprile 2001) della "Commissione per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati" non lascia scampo a chi ancora oggi dovesse cullarsi nel luogo comune "italiani brava gente". Tanti, forse. Ma non tutti.
La banca dati realizzata presso l'Archivio centrale dello Stato comprende 7.187 decreti di confisca, cui corrispondono 7.920 nominativi di persone e 230 di ditte, per un totale di 8.150 nominativi, depurati dalle ripetizioni dei nomi presenti in più decreti. Gli effetti della politica antisemita messa in pratica sotto il regime fascista nell'ambito dei "Provvedimenti per la difesa della razza italiana" si concretizzano a partire dal 1938 e si inaspriscono, per quanto possibile, con l'avvento della Repubblica sociale italiana.
I decreti di confisca riguardano in particolare la provincia di Milano, dove risultano 2.640. Ma non risparmiano quasi nessun lembo del territorio italiano: 914 in provincia di Genova, 648 in provincia di Venezia, 547 in quella di Torino, 268 sul territorio di Verona, 267 su quello di Mantova.

L'ampiezza delle spoliazioni
Nella sua introduzione al Rapporto della Commissione, Tina Anselmi sottolinea «la vastità e la ampiezza delle spoliazioni». E ricorda: «Non fu risparmiato nessuno: né i ricchi, né i poveri, né i commercianti, né le aziende industriali, né chi aveva pacchetti azionari, né chi disponeva di un modesto conto bancario. Nei decreti di confisca viene elencato di tutto: pezzi di argenteria, immobili, proprietà terriere, opere d'arte e tappeti di valore ma anche poveri oggetti di casa, oggetti personali sbattuti negli odiosi elenchi di confisca con sfacciataggine tale da indurre qualche autorità a disporre che si avesse maggiore sobrietà nella pubblicazione degli elenchi!». L'effetto del clima dell'epoca si fa sentire anche prima dell'emanazione delle leggi razziali, attraverso numerose vendite o, meglio, svendite precauzionali di immobili o aziende. E in conseguenza del fatto che non poche attività "ariane" cessano le commesse ai fornitori ebrei, provocando il dissesto di questi ultimi.

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