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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2013 alle ore 19:46.

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L'elezione di un papa non è né una sfilata di moda né tanto meno una puntata di X-Factor. Ma la "teologia del conclave" – lo Spirito santo che ispira il collegio cardinalizio – si traduce comunque in schemi di voto, con alcune dinamiche ben identificabili. Designare un nuovo papa rimane in ogni caso un , una fatica e un impegno "di" uomini, "da" uomini: lo ricordò il cardinale genovese Giuseppe Siri durante una messa "pro eligendo pontifice" dell'ottobre 1978 (per lui era il quarto conclave e sfiorò l'elezione).

Il veterano Siri e le regole non scritte
Il veterano Siri regalò via via nel tempo al vaticanista-confidente Benny Lai alcuni appunti preziosi per osservare un conclave. Il primo è che l'isolamento della consultazione (la famosa "chiusura a chiave" decisa nel Medioevo a Viterbo, oggi ritradotta nella totale schermatura multimediale) ha l'effetto reale di accelerare l'elezione: già al terzo giorno, diceva Siri, tutti hanno voglia di uscire. Secondo spunto, tutt'altro che di colore: il cardinale genovese portava con sé in conclave una piccola bottoglia di cognac . Di fronte al passaggio finale dell'elezione anche il papabile più ambizioso e risoluto ha più di un attimo di smarrimento (l' della nomina ha in fondo questo significato: caro confratello ti abbiamo dato il quorum dei voti, ma tu sei davvero sicuro di voler fare il papa?)

Un terzo input "by Siri" giunge dalla sua diretta esperienza di "papabile": e non sembra affatto inattuale dopo la "guerra dei briefing" appena combattuta fra Curia e cardinali americani. Nell'ottobre 1978, Siri compromise le sue solide "chance" per aver rilasciato a un giornale italiano una controversa intervista dagli accenti conservatori. Probabilmente fu violato l'accordo per la pubblicazione del testo a conclave iniziato: fatto sta che una fotocopia dell'intervista fu inserita nella cartella personale di ciascun conclavista. Il camerlengo, segretario di Stato uscente, era il francese Jean Villot, fedelissimo di Paolo VI. Il suo "blocco" su Siri ebbe successo, anche se Villot mancò l'obiettivo ultimo: l'elezione del "giovane leone" della Curia montinana, Giovanni Benelli.

Il quasi leggendario di Genova, nei suoi primi due conclavi, aveva partecipato all'elezione di altrettanti papi italiani, con un curriculum abbastanza simile. Angelo Roncalli e Giovanni Battisti Montini – entrambi lombardi – erano accomunati da una solida esperienza curiale, ma erano cardinali arcivescovi di grandi diocesi del Nord Italia (Venezia per Giovanni XXIII e Milano per Paolo VI): Ebbero entrambi in conclave l'appoggio iniziale (e poi decisivo) dei loro colleghi non italiani. E' lo schema nel quale si troverebbe oggi – stando alle cronaca - il lombardo Angelo Scola: attualmente arcivescovo di Milano dopo essere stato patriarca di Venezia, dotato di un'esperienza "romana" come rettore dell'Università lateranense. Fra gli ultimi nove papi, tre sono giunti da Venezia e due da Milano: due storiche diocesi alla fine più "europee" che "italiane" nella percezione dei "principi della Chiesa" sparsi sempre di più nei cinque continenti.

Primi scrutini, molti vincitori
I primi scrutini – ancora all'elezione di Karol Wojtyla erano un blocco di quattro, due al mattino e due al pomeriggio del primo giorno – assolvono a tre funzioni tradizionali: a) setacciare fra tutti gli elettori quelli che correranno realmente per il Soglio (o meglio: dare visibilità in Sistina al risultato dell'intenso lavorìo del pre-conclave, in congregazione e fuori); b) pesare in modo aggiornato i "partiti" nel sacro collegio, al di là dell'esito finale del conclave (che per definizione avviene con una maggioranza molto larga, superiore ai due terzi); c) scambiare attestazioni di stima non necessariamente legate con l'elezione papale. Esemplari i primi due scrutini dell 26 agosto 1978, dopo la morte di Paolo VI.

Al primo round si ritrovano in testa Siri e il patriarca di Venezia Albino Luciani, con circa 25 voti ciascuno (le cifre differiscono di poco tra fonte e fonte). Emerge subito in modo chiaro un orientamento già molto elaborato nel pre-conclave: il compromesso fra la Curia e il grande episcopato internazionale sul nome del titolare di una grande diocesi italiana. E il binomio Siri-Luciani è quello formalmente offerto alla scelta degli elettori. Il secondo voto (con Luciani che balza attorno a ) certifica il consenso sulla "grande mediazione" e prepara l'elezione (al quarto spoglio, col voto "di tutti" a cavallo di quota 100). Ma al primo scrutinio il conclave ha ritenuto doveroso render merito a Siri, la cui "seniority" ecclesiale e la cui caratura politico-culturale era indubitabilmente superiore a quella del cardinale nato fra le Dolomiti. Ancora: in avvio riceve parecchi voti Sergio Pignedoli (il vero "delfino" di Paolo VI): un segnale "presenzialista" dei porporatori continuatori del "papa del Concilio". Ma sono "nominati" anche Sebastiano Baggio (un curiale italiano non sgradito ai vescovi di molti paesi); Franz Konig (l'arcivescovo di Vienna, il più prestigioso fra i cardinali europei); Pericle Felici (ex segretario generale del Concilio Vaticano, curiale romano a tutto tondo), il giovane brasiliano Aloisio Lorschreider (punta di diamante del progressismo terzomondiale). Non da ultimo: l'arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla.

Quel "cambio di schema" vincente per Wojtyla
Alcuni vaticanologi hanno attribuito questo pugno di voti a un gesto di riconciliazione finale dei cardinali tedeschi (fra cui il giovane Joseph Ratzinger) dopo le forti tensioni che avevano diviso nel dopoguerra le chiese di Germania e Polonia. Resta il fatto che meno di due mesi dopo - scomparso improvvisamente Giovanni Paolo I – la "fabbrica del conclave" riapre e Siri si presenta come "primo dei non eletti" nella consultazione precedente. Ma anche Wojtyla entra con una "papabilità" che in agosto gli era stata attribuita in modo chiaro, sebbene quasi sicuramente in vista di un conclave successivo di anni, non di settimane.

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