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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2013 alle ore 20:42.

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Da sinistra, Salvatore Girone, l'ambasciatore Daniele Mancini, Massimiliano Latorre (Ansa)Da sinistra, Salvatore Girone, l'ambasciatore Daniele Mancini, Massimiliano Latorre (Ansa)

Commedia a più voci sul caso dei due marò che l'Italia non ha voluto rispedire in India dove li aspetta un processo per la morte di due pescatori del Kerala durante l'azione antipirateria del 15 febbraio 2012. Dopo che la Suprema Corte indiana nega l'immunità diplomatica all'ambasciatore Mancini, stamane il portavoce del ministero degli esteri a New Delhi sembra fare un'apertura sulla questione al centro della disputa, sostiene cioè che un «conflitto di giurisdizioni va esaminato».

La Farnesina ricorda che «l'Italia continua a ritenere che il caso dei suoi due Fucilieri debba essere risolto secondo il diritto internazionale. In questo senso abbiamo proposto di deferire all'arbitrato o altro meccanismo giurisdizionale la soluzione del caso».

Infine, da Bruxelles arriva una posizione più appropriata di quanto sembrava quella filtrata a mezzogiorno: «Tutte le parti devono rispettare la convenzione di Vienna» commenta il portavoce dell'alto rappresentante per la politica estera dell'Ue Michael Mann. L'Unione europea ribadisce di «incoraggiare India e Italia a trovare una soluzione reciprocamente soddisfacente e coerente con il diritto internazionale e il diritto del mare» attraverso il negoziato. «Abbiamo seguito la decisione della Corte suprema indiana e seguirà gli sviluppi oggi - ha aggiunto Mann - e confermo che il nostro ambasciatore è stato convocato dal ministro degli Esteri indiano per essere informato».

L'ambasciatore Mancini non avrebbe dunque titolo all'immunità diplomatica, ha sentenziato la Corte Suprema indiana che aveva già ordinato al massimo rappresentante dell'Italia di non lasciare il Paese dopo la decisione del governo di Roma di non far rientrare in India Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, il cui permesso speciale scadrà comunque solo il 22 marzo. «Una persona che si presenta in aula e formula una promessa del genere», ha dichiarato il presidente della Corte, Altamas Kabir, «non gode di alcuna immunità».

Da New Dehi il portavoce del ministero degli Esteri indiano, Syed Akbaruddin, dice oggi: effettivamente «esiste un conflitto di giurisdizioni» sulla questione dei marò che «deve essere esaminato». Per il momento, ha aggiunto, «noi ci atteniamo alle direttive che ci provengono dalla Corte Suprema». Ad una domanda sul fatto che l'ambasciatore Daniele Mancini (a cui oggi la Corte Suprema indiana ha esteso la limitazione a non lasciare l'India fino a nuovo ordine, ndr.) è anche accreditato in Nepal e potrebbe dover viaggiare in quel paese, Akbaruddin è stato molto prudente. «Ci muoviamo in un terreno molto delicato - ha indicato - e devo ricorrere al proverbio che dice "vediamo come attraversare il ponte quando vi arriveremo"». Peraltro, ha concluso, «non abbiamo al momento ricevuto alcuna richiesta in questo senso».

Mancini, che non era presente in aula, si era impegnato per il ritorno a tempo debito nel Paese asiatico di Girone e Latorre. La Corte Suprema di New Delhi ha inoltre prorogato fino al 2 aprile, data nella quale è stata fissata la successiva udienza sul caso dei marò, il divieto di lasciare l'India imposto giovedì scorso nei confronti dell'ambasciatore d'Italia Daniele Mancini. Il difensore dei due militari e dell'ambasciatore, Mukul Rohatgi, ha ricordato alla Corte suprema indiana che in base alla Convenzione di Vienna, la persona dell'ambasciatore è inviolabile e che quindi «nessuna autorità indiana può imporre restrizioni sui suoi movimenti».

Le autorità indiane avevano concesso ai due marò un permesso per tornare in Italia in occasione delle elezioni del 24 febbraio, il nostro governo ha deciso di non rimandarli indietro perché, argomenta, la giurisidizione che deve decidere sulle loro responsabilità spetterebbe ai giudici italiani.

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