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Questo articolo è stato pubblicato il 21 marzo 2013 alle ore 11:24.

Un filo può unire economia, etica e legalità. Lo stesso filo può cucire la Locride a Milano e volare verso il mondo.
A tessere la trama è il Gruppo cooperativo Goel, che raccoglie diverse imprese sociali in Calabria. La sua missione – utopistica e per questo straordinariamente attraente – e il cambiamento della Calabria, la liberazione e il riscatto delle comunità locali. Non è un caso che Goel sia un nome con radici bibliche: "colui che libera", "colui che riscatta".
Nel 2009 questo gruppo cooperativo - fondato nel 2003 dall'allora Vescovo di Locri-Gerace Giancarlo Bregantini, che ha lasciato un segno profondissimo in quella terra nella lotta alla ‘ndrangheta e nella rinascita socioeconomica – fondò "Cangiari", la prima griffe etica nel segmento alto della moda italiana, con il tutoraggio di un mostro sacro del made in Italy: Santo Versace.
Cangiari vuol dire "cambiare" tanto in dialetto calabrese quanto in quello siciliano.
E il cambiamento c'è, insieme al riscatto, grazie al controllo diretto di tutta la filiera di produzione, interamente su telaio a mano e realizzata con materiali e colorazioni biologiche, per il rispetto dell'ecosistema e del benessere di chi li indossa: dal tessuto di ginestra d'Aspromonte cardata agli inserti di seta prodotta artigianalmente in Calabria senza l'uccisione del baco. La filiera di produzione è totalmente made in Italy, formata dalle cooperative sociali del gruppo Goel che spaziano tra la Locride e la Piana di Gioia Tauro, dove sono stati rivitalizzati alcuni centri di produzione e che occupano complessivamente 25 persone.
L'etica non deve accontentarsi di essere solo giusta, ma deve diventare efficace: questo è uno dei principi ai quali il gruppo è saldamente ancorato. I fatti – pur in un momento di difficile crisi economica – danno senso e speranza a questo principio. Il 2009 – anno del debutto – si chiuse con una perdita di 8.706 euro ma già il successivo registrò un fatturato di 278.875 euro e un utile di 40.669 euro. Il 2011 – ultimo bilancio utile a disposizione – ha segnato ricavi per 332.634 euro e utili per 14.355 euro.
Il 10 novembre 2010 Cangiari ha osato l'inosabile: con i suoi capi di abbigliamento che tutto contemplano tranne che le pellicce, è salito a Milano, in Viale Montesanto 10, a due passi dalla Stazione Centrale e a quattro dalla moda all'ultimo grido di Corso Como. Ma se una sfida deve essere lanciata, tanto vale farlo fino in fondo e così quello spazio di 50 metri quadrati al primo piano, trasformati nella prima boutique del lusso etico, sociale e sostenibile, sono stati ricavato in un appartamento confiscato alla ‘ndrangheta.
Da quello spazio in un palazzo signorile sono decollati i sogni e le speranze del marchio che a maggio 2010 è stato premiato al Salone del Lusso Sostenibile di Parigi e che, a ottobre 2012, è volato a Tel Aviv per cucire, oltre all'etica e alla legalità, anche le religioni.
Il 22 febbraio è stata infine la volta della presentazione della collezione autunno-inverno 2013-2014, patrocinata dalla Camera nazionale della moda. La collezione – lo scriviamo per i cultori della materia - propone geometrie essenziali e linee sobrie ed eleganti, volutamente non offuscate da alcuna decorazione.
Ma come si fa a essere sicuri che la falda non sia "inquinata" da infiltrazioni mafiose.
«Nella filiera – spiega al sole24ore.com Vincenzo Linarello, presidente del gruppo cooperativo di imprese sociali Goel – tutti si battono contro le mafie e operano per lo sviluppo del proprio territorio, oltre che per l'integrazione lavorativa delle persone svantaggiate. L'attività di controllo è strettissima, condividendo tutto: dai documenti contabili alle scelte strategiche. Diversi soci sono stati già allontanati per motivi di eticità. Abbiamo la paranoia della legalità ma sempre con grande disponibilità al dialogo. Se da noi viene il figlio del boss a chiedere lavoro, la sfida va colta. Abbiamo fatto la scelta di non far entrare carcerati ammessi a misure alternative, preferendo promuovere l'autoimprenditorialità, aiutandoli. Il percorso di un anno per costruire insieme qualcosa, fiacca chi è in malafede. Abbiamo avuto parecchi casi: abbiamo aiutato a mettersi in proprio le persone animate da legalità e abbiamo scoraggiato i furbi. Nel territorio abbiamo avuto episodi di intimidazione sempre denunciati».
La cosa positiva è che questa battaglia antindrangheta sul "filo" della legalità si sta rivelando vincente innanzitutto fuori dai confini calabresi. «Innanzitutto – spiega Linarello – riusciamo a creare consenso sul territorio molto più ad esempio, dei settori tradizionali come sanità e servizi, dove pure abbiamo operato. In secondo luogo, rivolgendoci ad una clientela con possibilità economiche, siamo riusciti a dialogare con istituzioni, classe dirigente e politica fuori della Calabria. Noi diciamo al Nord: dateci una mano a sviluppare la lotta alla ‘ndrangheta in Calabria e noi vi diamo una mano a riconoscere e lottare le infiltrazioni nel vostro territorio».
Una "trama" che non ha una sbavatura.
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