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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2013 alle ore 10:13.

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L'episodio che forse racchiude più di altri l'atteggiamento delle gerarchie cattoliche – Santa Sede in testa – nei confronti dell'elezione del presidente della Repubblica risale al 1978. Era da poco stato assassinato Moro, la Dc era in preda a lotte interne e crisi pubbliche, per le dimissioni di Leone e l'approvazione della legge 194. Ma fu un messaggio indiretto della Chiesa a Zaccagnini che forse contribuì a sbloccare l'impasse: Pertini, pur ateo e socialista, è molto stimato e apprezzato, è la persona giusta.

Il segretario trovò la forza per imporsi sul partito recalcitrante e l'ex partigiano fu eletto con larghissima maggioranza. E fu proprio lui ad alimentare un rapporto speciale con Giovanni Paolo II, con forme del tutto nuove, creando il terreno favorevole anche per la revisione del Concordato nel 1984.
Un rapporto a corrente alternata nella storia repubblicana, che ogni sette anni ripropone il tema se al Quirinale debba essere eletto o meno un cattolico di tradizione politica. Un problema, a ben vedere, che riguarda più il dibattito e il confronto tra i partiti (e anche al loro stesso interno) che non la Chiesa stessa, almeno nell'ultimo trentennio. E dopo l'elezione di Jorge Bergoglio anche il Vaticano è sempre più distante dalle beghe nazionali, e la questione riguarda soprattutto la Cei. «L'importante è che sia una persona di grande livello, di grande onestà, riconosciuta a livello nazionale ed internazionale, perché il Paese possa mantenere e se possibile crescere, come è giusto sperare, nella considerazione internazionale» ha detto il presidente dei vescovi cardinale Angelo Bagnasco, secondo cui una qualità imprescindibile del nuovo presidente deve essere «il realismo di fronte ai problemi concreti della gente che è stremata per la mancanza di lavoro, per il fisco pesante, per le attese riforme strutturali. Questo segnale credo sia indispensabile perché la gente si senta sempre di più e meglio parte di un corpo unico per affrontare un momento difficilissimo».

Parole che non solo non tradiscono nessuna inclinazione religiosa, come è ovvio, ma vanno oltre, rappresentano una piattaforma "politica" che sollecitano un capo dello Stato che si faccia carico dell'emergenza. Insomma, la "questione cattolica" non c'è più da tempo, e questa volta meno che mai. Anzi, forse gioca il gioco è a specchi un po' rovesciati: ormai un presidente della Repubblica di formazione e tradizione cattolica – si osserva in ambienti ecclesiali – in qualche modo è costretto a marcare, anche esteriormente, più di un laico la distanza dalle gerarchie.
Ma c'è di più. Un credente a 24 carati in qualche modo "parla da dentro", e questo ai vescovi piace poco. I due cattolici più accreditati, Franco Marini e Romano Prodi, hanno storie molto diverse, e anche la percezione è differente. L'ex presidente del Senato, da capo del Ppi polemizzò in modo ruvido con Avvenire, che accusò di eccessivo filoberlusconismo, in linea con la condotta dell'allora presidente Cei, Camillo Ruini. Oggi l'aria è cambiata, e per Marini c'è stima, ma non si tratta di un'opzione preferenziale. Diverso è il caso di Prodi, negli anni scorsi avversato in ogni modo dalla maggioranza della Cei, che ancora nutre dei sospetti per la sua dichiarata e fattiva "laicità" in politica («sono un cattolico adulto» disse) e l'autonomia di giudizio, tipica la sua appartenenza culturale alla Scuola di Bologna.

Gli ultimi due presidenti sono stati laici. Carlo Azeglio Ciampi – pure credente e praticante – è di formazione azionista, e Giorgio Napolitano viene dal Pci. Eppure entrambi hanno avuto un rapporto davvero speciale con i pontefici e una grande sensibilità per le istanze del mondo cattolico. Due presidenti molto apprezzati – più del devotissimo Oscar Luigi Scalfaro, che fece cadere Silvio Berlusconi – a conferma che un laico è visto senza pregiudizi, anzi, per certi versi con maggiore attenzione. Come Giuliano Amato, laico di formazione socialista riformista, che non solo è stato co-autore della revisione del Concordato, ma che negli anni ha espresso posizioni, per esempio nella difesa della vita, più avanzate e coraggiose di molti altri politici cattolici. Ma con attenzione i vescovi guardano anche a Massimo D'Alema, ateo ma molto sensibile anche lui a istanze care alle gerarchie. Consensi pure per Anna Maria Cancellieri, che qualche giorno fa è andata alla messa del Papa a Santa Marta, e per Paola Severino, che ha accolto Bergoglio al carcere minorile di Casal del Marmo.
Diverso l'atteggiamento per altri "candidati", visti quantomeno con prudenza, come Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelski, e di certo anche per Emma Bonino, da sempre in contrasto con la Cei quasi su tutto. Specie ora che il candidato del Pd a sindaco di Roma, la città dove è vescovo papa Francesco, è Ignazio Marino, anche lui agli antipodi della Chiesa su temi come vita e famiglia.

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