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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2013 alle ore 16:28.

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OPZIONE 1 - RAID PUNITIVI
L'intervento militare a basso rischio e con un minimo coinvolgimento di forze militari è quello dei raid punitivi contro il regime siriano reo di aver utilizzato armi chimiche. Gli obiettivi sarebbero i centri di comando e controllo delle forze armate, i palazzi governativi, radar e postazioni della difesa aerea che verrebbero attaccati con missili da crociera Tomahawk lanciabili da sottomarini, incrociatori e cacciatorpediniere statunitensi. Fonti del Pentagono hanno rilevato l'arrivo nel Mediterraneo del cacciatorpediniere Mahan che porta a quattro le unità della Sesta Flotta in grado di lanciare un attacco missilistico. Ai missili da crociera potrebbero aggiungersi incursioni aeree condotte da portaerei o da velivoli basati in Turchia, nel Qatar, in Giordania o nelle basi britanniche a Cipro, secondo indiscrezioni già utilizzate senza troppo clamore per ospitare i droni da sorveglianza che sorvolano regolarmente la Siria tenendo d'occhio anche i depositi di armi chimiche. I rischi di questa opzione limitata sono bassi in termini di perdite tra gli attaccanti ma difficilmente simili raids potranno indebolire significativamente le forze governative impegnate contro i ribelli. I raids statunitensi potrebbero inoltre determinare un forte incremento degli aiuti russi, cinesi e iraniani a Damasco, incluse le batterie di missili S-300 efficaci contro aerei e missili da crociera, che Mosca ha venduto ma non ancora consegnato ad Assad.

OPZIONE 2 – MAGGIORE AIUTO DIRETTO AI RIBELLI
Un'altra opzione "morbida" è rappresentata da un forte incremento degli aiuti militari e dell'addestramento ai ribelli gestito direttamente dagli Stati Uniti e dagli alleati arabi e occidentali con l'aumento dei consiglieri militari dislocati in Turchia e Giordania il cui compito sarebbe anche di evitare che armi ed equipaggiamenti finiscano nelle mani di gruppi terroristici o estremisti islamici. Finora i Paesi europei hanno rinunciato a inviare armi ai rivoltosi dopo aver constatato che le milizie più forti e organizzate sono quelle qaediste e jihadiste.

OPZIONE 3 - NO FLY ZONE
Un'opzione militare più energica e prolungata nel tempo è rappresentata dall'imposizione di una no fly zone giustificata ad impedire alle forze di Assad di far volare aerei, elicotteri e missili, che sono anche i principali vettori delle armi chimiche. Un'operazione che garantirebbe non pochi vantaggi tattici ai ribelli che, privi di forze aeree, subiscono i raids dei Mig, e Sukhoi lealisti. Per gli Stati Uniti e gli alleati una no-fly zone simile a quella imposta alla Libia nel 2011 richiederebbe, per essere sostenibile nel tempo, almeno un centinaio di velivoli tra cacciabombardieri, tanker per il rifornimento in volo e aerei radar. Per imporla a Damasco però sarebbe necessario combattere una vera e propria guerra aerea tesa a spazzare via le forze aeree siriane che, a seconda delle fonti, disporrebbero ancora di 100/150 jet da combattimento operativi. Più le centinaia di batterie missilistiche antiaeree gestite anche con il supporto di consiglieri militari russi. Una guerra vera e propria che potrebbe comportare perdite tra gli aggressori (le forze siriane sono ben più potenti e addestrate di quelle libiche) con il rischio di rappresaglie di Damasco contro Israele e gli Stati arabi vicini effettuabili con l'impiego di un oltre un migliaio di missili balistici tipo Scud, Hwaesong, Iskander, Shahab e Zelzal di origine nordcoreana, russa e iraniana.

OPZIONE 4 - APPOGGIO AEREO AI RIBELLI
Come è accaduto in Libia la no-fly zone potrebbe venire implementata con un blocco navale e con l'impiego dei cacciabombardieri in incursioni di attacco al suolo contro le postazioni e i reparti governativi. Contro le truppe di Gheddafi questi raids, che diedero un supporto decisivo ai ribelli, vennero giustificati con la necessità di "proteggere i civili" dalle rappresaglie dei governativi. Di fatto i jet alleati spianerebbero la strada ai ribelli ma con un'elevata possibilità di colpire civili per errore. Per questo tale opzione richiederebbe non solo almeno 200 aerei ma anche la presenza a terra di un buon numero di militari alleati esperti nell'identificazione dei bersagli da segnalare ai jet.

OPZIONE 5 – INVASIONE DELLA SIRIA
Più che la guerra del Kosovo del 1999, l'opzione che prevede un intervento militare diretto sul territorio siriano ricorderebbe l'invasione dell'Iraq del 2003. In Kosovo furono infatti sufficienti 73 giorni di raids aerei della Nato per indurre i serbi alla resa. Ipotesi improbabile nel caso del regime siriano. La conquista di Damasco richiederebbe quindi uno sforzo bellico globale aereo, terrestre e navale che ricadrebbe per lo più sugli Stati Uniti per l'aspetto tecnologico e dei mezzi mentre in termini di truppe turchi e arabi potrebbero mettere in campo molti soldati. Più improbabile un coinvolgimento massiccio di militari europei nelle operazioni terrestri ma è difficile anche ipotizzare che Barack Obama, dopo aver ritirato i militari dall'Iraq e avviato il ripiegamento dall'Afghanistan intenda mandare ingenti reparti militari a combattere sul suolo siriano. L'invasione terrestre potrebbe assicurare maggiore controllo nella fase successiva alla caduta del regime ma anche alimentare il terrorismo e la frammentazione del Paese come è accaduto in Iraq, tenuto conto anche dei diversi interessi dei Paesi che appoggiano i ribelli. Inoltre un'invasione della Siria avrebbe effetti molto negativi sui rapporti con Mosca e Pechino.

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