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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2013 alle ore 16:28.

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Il segretario della Difesa, Chuck Hagel (s) ascolta il presidente Usa, Barack Obama (Epa)Il segretario della Difesa, Chuck Hagel (s) ascolta il presidente Usa, Barack Obama (Epa)

L'impiego di armi chimiche da parte dei governativi siriani nei sobborghi di Damasco, anche se non ancora confermato da fonti indipendenti, sembra aver dato il via al conto alla rovescia per un intervento internazionale contro il regime di Bashar Assad. Se i media statunitensi si sbizzarriscono nell'ipotizzare le diverse opzioni sul tavolo che potrebbero ispirarsi all'intervento di Bill Clinton in Kosovo del 1999 (o a quello di George W. Bush in Iraq del 2003) coinvolgendo quindi la Nato o una robusta "coalition of the willing" per ovviare al'assenza di una risoluzione delle Nazioni Unite che autorizzi l'attacco a Damasco poiché al palazzo di Vetro Russia e Cina difenderebbero Assad con l'arma del veto.

Nel week end Barack Obama ha riunito lo staff di consiglieri per la sicurezza nazionale e nelle prossime ore è atteso un primo rapporto circa le opzioni militari da parte del generale Martin Dempsey, capo degli stati maggiori riuniti, che si è finora sempre mostrato scettico di fronte all'ipotesi di un intervento armato in Siria paventandone i costi umani e finanziari, i rischi di allargare il conflitto a tutta la regione e sottolineando che nell'attuale situazione vi sarebbero molte possibilità di aiutare gli estremisti islamici a prendere il potere.

Il segretario alla Difesa, Chuck Hagel, ha lasciato intendere che il Pentagono sta posizionando mezzi e uomini nel Mediterraneo in vista di un possibile intervento militare in Siria. «Il dipartimento della Difesa - ha sottolineato parlando ai giornalisti su un aereo che lo portava in visita in Malaysia - ha la responsabilità di fornire al presidente opzioni per qualsiasi contingenza e questo richiede un posizionamento delle nostre forze e unità per poter attuare le varie opzioni, quale che sia quella che sceglierà il presidente».

Nei prossimi giorni si riuniranno in Giordania i capi di stato maggiori di diversi Paesi di Nato e Lega Araba coinvolti n ella crisi siriana. Secondo fonti di Amman questa riunione si svolge su invito del capo di stato maggiore giordano, generale Meshaal Mohamed el Zeben e del capo del Centcom, il comando americano responsabile di venti Paesi del Medio Oriente e dell'Asia centrale, il generale Lloyd Austin. La rapida convocazione dell'incontro (al quale parteciperà anche il capo di stato maggiore Difesa italiano, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli) lascia intendere che si discuterà di un eventuale intervento militare forse per raccogliere la disponibilità dei singoli Paesi a far parte di una coalizione simile a quella che due anni or sono mosse guerra alla Libia.

La rapidità con la quale stanno riunendosi gli organismi consultivi per discutere di opzioni militari lascia intendere che qualcosa sta davvero muovendosi sul piano militare. Nei giorni scorsi soni entrati in azione nel sud i primi reparti di ribelli dell'Esercito Siriano Libero addestrati e armati in territorio giordano dai consiglieri militari statunitensi come ha raccontato Le Figaro. "Un primo gruppo di 300 uomini, senza dubbio sostenuto da israeliani e giordani così come da uomini della Cia, avrebbe attraversato la frontiera il 17 agosto e un secondo gruppo li avrebbe raggiunti due giorni dopo"– scrive il quotidiano francese. Se Washington ha deciso di intervenire con le armi le opzioni disponibili sono almeno cinque.

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