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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2013 alle ore 07:12.

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Da Parigi a Tallinn, viaggio alla scoperta delle capitali dello smart business

A Parigi è sorta un nuova scuola per business visionari e futuri startuppari: si chiama 42, proprio come la risposta fornita nella Guida galattica per autostoppisti (del mai troppo compianto Douglas Adams) dal computer più potente dell'Universo alla domanda sul mistero della vita. Il nome perfetto per gli uffici destinati a formare geni-imprenditori in grado di rispondere a domande che non sono ancora state formulate. Ne parla Marco Moussanet, in uno degli articoli di questa rassegna: un viaggio tra le capitali europee dell'hi-tech, che parte proprio da Parigi e fa tappa a Londra, Tallinn, Berlino per concedersi una divagazione a Tel Aviv.

Un viaggio attraverso l'Europa inseguendo il processo evolutivo delle imprese, nelle avanguardie della digital economy, dove ricerca, creazione di valore aggiunto e occupazione, si coniugano con bassi investimenti iniziali nuovi distretti dedicati ai creatori di app e agli sviluppatori dei nuovi business online. Gli imprenditori sono quasi sempre nativi digitali. E tra questi non mancano giovani italiani che, in Gran Bretagna come in Estonia, hanno trovato il terreno favorevole per trasformare le loro idee in impresa.

A Londra, Leonardo Maisano racconta lo storico punto di riferimento dell'high-tech in Europa; a Berlino, Alessandro Merli scopre una capitale low cost e creativa anche nell'economia digitale; a Tallinn - racconta Gianluca Di Donfrancesco - ingegneri, fisici e matematici, in un campus ricavato nelle ex fabbriche dell'Armata Rossa, sognano di emulare il miracolo Skype; infine Ugo Tramballi racconta i legami sempre più stretti tra l'Europa e Tel Aviv, che dopo la Silicon Valley è il secondo centro mondiale di aggregazione di start-up.

E l'Italia? Senza più aspettare sostegno dallo Stato, da Treviso, a Milano a Cagliari, i nostri giovani garantiscono a Michela Finizio che stan facendo di tutto per sfatare il mito secondo il quale l'Italia non è un Paese per start-up. Ma è una lunga pedalata in salita.

Val al Dossier

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