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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2013 alle ore 18:24.

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Parigi - Fleur Pellerin, vice-ministro con delega all'Economia digitale, ha annunciato nei giorni scorsi che ben presto anche Parigi avrà la sua Tech City, sull'esempio di quella creata nel 2010 a Londra. Sarà il frutto della riconversione della Halle Freyssinet, straordinaria struttura realizzata nel 1927 e fino a poco tempo fa centro di smistamento dei pacchi delle Ferrovie: 25mila metri quadrati alle spalle della stazione Austerlitz, in grado di ospitare mille start up.

Bene, commentano i protagonisti vecchi e nuovi dell'imprenditoria hi tech, perché la capitale francese ha effettivamente bisogno di un simbolo, anche fisico, per realizzare una grande operazione di marketing, di comunicazione. Come Londra sa fare così bene.

«Senza però ignorare - dice Jean-Louis Missika, il braccio destro del sindaco Bertrand Delanöe per l'innovazione - che Parigi è già la capitale europea dell'industria creativa e dell'economia digitale». E snocciola le cifre: «A Londra ci sono circa 1.300 start up nel settore dell'Ict, la tecnologia dell'informazione e della comunicazione, mentre noi ne abbiamo oltre 1.800. Tra la Parigi intra-muros e la prima cintura ci sono più di 400mila persone che lavorano in questo settore, rispetto alle 100mila di Londra».

Non è solo una questione di quantità. Già un paio di anni fa la rivista Wired aveva sottolineato la vitalità e il dinamismo di Parigi. Mentre nell'ultimo rapporto di Deloitte sulle 500 imprese europee a crescita più rapida nel variegato e ampio mondo dell'Ict, la Francia è per il terzo anno consecutivo il Paese con il maggior numero di aziende (90 nel 2012, davanti alla Gran Bretagna con 74 e alla Svezia con 55). Ed è un'impresa parigina a guidare, nettamente, la classifica per società (Criteo, con un aumento dei ricavi del 202.000% negli ultimi cinque anni). La capitale francese piazza poi altre due start up (Deezer, musica on demand, e Sewan, geolocalizzazione degli amici) tra le prime dieci.

«L'idea della Tech City - sostiene Marie-Vorgan Le Barzic, direttrice dell'associazione Silicon Sentier - va benissimo, purché la politica non dimentichi mai che il suo compito, soprattutto in questo campo, è quello di accompagnare la straordinaria trasformazione culturale in corso, grazie ai giovani della generazione internet. Di creare insomma un ecosistema favorevole per persone che hanno bisogno soprattutto di libertà, evitando l'atteggiamento dirigista purtroppo tipico di questo Paese. Inoltre Parigi ce l'ha già, il suo quartiere dell'economia digitale».

Il Sentier, appunto. Dove negli ultimi anni - grazie alle ottime connessioni e agli spazi lasciati liberi dai grossisti dell'abbigliamento - le start up dell'Ict sono spuntate come funghi. L'emblema di questo fenomeno è Palais Brongniart, l'ex sede della Borsa. Dove una volta c'erano i trader e le corbeilles ora ci sono un incubatore d'imprese (Le Camping) e la neonata Scuola europea dei mestieri di internet (Eemi), nata dopo il 2010 su iniziativa di tre grandi nomi dell'hi-tech parigino: Xavier Niel, il proprietario di Iliad che con Free ha sconvolto il mercato francese delle telecomunicazioni (e ora ha lanciato una scuola di geni dell'informatica); Jacques-Antoine Granjon, l'ideatore degli eventi e-commerce di Vente-privée.com; Marc Simoncini, il fondatore del sito di incontri Meetic. Tre anni di corsi (con 12 mesi di stage) per 100 studenti all'anno a 8mila euro.

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