Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2013 alle ore 07:17.

My24
Il paradosso della Libia divisa del post Gheddafi: deve importare energia

L'ultimo, grave "effetto collaterale" della primavera incompiuta che sta paralizzando la "nuova Libia" è quello che tutti speravano non si avverasse mai: un duro colpo assestato all'industria energetica. Di fatto la sola ricchezza nazionale che finora era uscita indenne dal caos politico che imprigiona l'ex regno di Muammar Gheddafi da oltre un anno.
Ma i gravi attriti tra la Tripolitania e la Cirenaica, e lo strapotere delle agguerrite milizie determinate a conservare i loro arsenali, appaiono ostacoli davvero difficili da superare.

La Tripolitania, la regione dove ha sede il Governo, non vuole sentir parlare di federalismo, e accusa la Cirenaica di ospitare pericolosi movimenti estremisti islamici, fino a cellule clandestine legate ad al Qaeda. A sua volta la Cirenaica, la regione orientale da cui partita la rivolta contro Muammar Gheddafi - dove da tempo soffiano pericolosi venti secessionisti - rivendica una maggiore rappresentanza nei futuri assetti politici della Nuova Libia. Non solo, esige da tempo maggiori entrate energetiche.

Crolla la produzione di petrolio e gas
Travolta da una valanga di scioperi che ha investito la Cirenaica, dove si trovano i maggiori giacimenti di greggio e gas, la produzione petrolifera nazionale ha accusato un crollo verticale: in meno di due mesi sarebbe così passata da punte di 1,5-1,6 milioni di barili al giorno (mbg), vale a dire ai livelli precedenti la rivoluzione, a meno di 100mila barili. Anche il settore del gas naturale ha subito la stessa sorte. I principali giacimenti della Cirenaica sono chiusi. Per come si sono messe le cose, la loro riapertura non sembra imminente. La denuncia arriva dal Governo di Tripoli, e, secondo alcune fonti informate, le cifre del crollo sarebbero eccessive. Ma anche se si trattasse di una caduta produttiva a 300mila barili al giorno, si tratterebbe pur sempre di un vistoso – disastroso - crollo.

Costretti a importare gasolio e olio combustibile
Per il Paese che vanta le maggiori riserve di petrolio dell'Africa, ed è il terzo esportatore di gas naturale del Continente, essere costretti ad acquistare gasolio e olio combustibile dai Paesi vicini per mantenere in vita le centrali può suonare come un paradosso. Ma da alcuni giorni il Governo, se non vuole rimanere a corto di energia elettrica, non sembra aver altre scelte. Ancora più insolito per un Paese dove la benzina è sempre stata abbondante, e costa meno dell'acqua, è assistere a quelle code interminabili di auto che in questi giorni di fine estate si stanno formando davanti alle stazioni di servizio della capitale.

Valanga di scioperi
Il contenzioso era iniziato in luglio, per poi proseguire in agosto: scontenti per il mancato pagamento di salari e arretrati, e per la minaccia del Governo di voler sospendere i loro pagamenti, l'organizzazione che gestisce la sicurezza degli impianti e dei giacimenti nella Libia Orientale, il Petroleum facilities guard (Pfg), aveva indetto una valanga di scioperi, culminati nella chiusura dei due principali terminal nazionali per l'export del petrolio. In verità la Pfg è assomiglia a un ombrello che raccoglie diverse milizie orientali, molte delle quali avevano diretto la rivolta contro Gheddafi. E che si sarebbero assunte di "propria iniziativa" la gestione della sicurezza di molti impianti. È legittimo ipotizzare che, per non subire atti di ritorsione e in assenza di alternative concrete, le major energetiche straniere abbiano accettato la loro presenza. Agli occhi delle milizie il governo è reo di gravi atti corruzione. Il fragile esecutivo guidato dal premier Ali Zeidan respinge da tempo le accuse e contrattacca: è la Pfg ad aver venduto il petrolio in nero, arrecando un danno incalcolabile alla nuova Libia. Minacciando di ricorrere all'aviazione, ha già schierato la marina per impedire alle navi "illegali" di lasciare le coste della Cirenaica.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi