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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2013 alle ore 08:22.
L'ultima modifica è del 30 ottobre 2013 alle ore 10:04.

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La Giunta per il regolamento di Palazzo Madama stamane è tornata a riunirsi per decidere sulle modalità con le quali l'Aula del Senato dovrà affrontare il caso della decadenza di Silvio Berlusconi da senatore. Voto segreto o voto palese: questo il nodo da sciogliere.

La decisione è presa. Silvio Berlusconi ieri sera è tornato a Roma per incontrare prima di tutti Angelino Alfano. Al vicepremier molto probabilmente il Cavaliere ha ripetuto quel che va dicendo ormai a tutti, ovvero che la sua decadenza segna la fine del governo delle larghe intese. Oggi lo ribadirà agli altri ministri invitati a pranzo a Palazzo Grazioli. Poi ognuno farà le sue scelte.

Tant'è che si fa sempre più insistente la voce di un'anticipazione del Consiglio nazionale che sancirà il passaggio a Forza Italia a prima dell'8 dicembre. Dipenderà da quando il Senato metterà ai voti la decadenza di Berlusconi.
Un modo per esercitare un maggiore pressing sul segretario e anche su Enrico Letta. Certo non è un caso che proprio ieri siano state diffuse le anticipazioni del nuovo libro di Bruno Vespa. Berlusconi insiste: «Il voto sulla mia decadenza sarebbe una macchia sulla democrazia italiana destinata a restare nei libri di storia» e segnala a Letta che se solo volesse ha a disposizione «un'autostrada» per risolvere la situazione, ovvero dichiarare «l'irretroattività» della legge Severino visto che è ancora «aperta» la legge delega sulla Giustizia. Poi l'avvertimento finale: «Letta dica sì o no». Ma Letta in realtà ha già risposto più volte (e ieri Palazzo Chigi lo ha ribadito), chiarendo che il Cavaliere non può pretendere di legare la sua vicenda personale con l'attività del governo. Lo sa anche Berlusconi, che adesso su Alfano vuole esercitare tutta la pressione.
L'ex premier non può permettersi che il governo sopravviva con il sostegno del segretario del Pdl, relegando la futura Forza Italia all'opposizione, con lui a scontare la pena ai servizi sociali e senza più la scadenza elettorale a portata di mano. Di qui la prova di forza, l'ufficio di presidenza della settimana scorsa nonostante la preannunciata assenza del segretario. Un'assenza "giustificata" dallo stesso Cavaliere che fino all'ultimo tenterà di trattenere Angelino.

Il vicepremier ha cercato in tutti i modi di evitare lo show down definitivo. È convinto che la scelta di Berlusconi sia suicida perché regala – come ripeteva anche ieri sera il ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello a Ballarò – un assist a Matteo Renzi che «non vede l'ora di andare a votare ma finché noi non stacchiamo la spina al governo è costretto a rimanere a fare il sindaco». E ieri sera probabilmente avrà ripetuto al Cavaliere questo ragionamento. Anche per il segretario però una partita in solitaria sarebbe rischiosissima e i precedenti (vedi Fini e Casini) non sono certo incoraggianti. Per questo ha evitato e ostacolato la voglia di scissione che soffia tra una parte dei "lealisti", tra coloro che già all'indomani del 2 ottobre, il giorno della fiducia al governo, spingevano per la costituzione di gruppi autonomi. Per questo ha smentito di aver sottoscritto il documento con cui Roberto Formigoni vuole far contare i governativi.
Anche i lealisti però stanno raccogliendo le firme. Vogliono arrivare a oltre 600 per poter avere la maggioranza dei 2/3 nel Consiglio nazionale che sancirà la nascita di Forza Italia e contemporaneamente la fine delle larghe intese. Un appuntamento che vorrebbero anticipare a prima del voto sulla decadenza. Berlusconi li lascia fare. Oggi vedrà anche il leader dei "lealisti" Raffaele Fitto. Il Cavaliere, prima di dichiarare ufficialmente la guerra al governo, attende di conoscere la risposta di Alfano. In ballo ci sono anche gli equilibri interni al partito.

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