Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2013 alle ore 07:36.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:42.

My24
(Corbis)(Corbis)

BOLOGNA - Capitalismo all'italiana o cogestione alla tedesca? Se l'obiettivo è la crescita a lungo termine la risposta è la Mitbestimmung del modello Volkswagen. «La codeterminazione non è un contratto che si impara, è una cultura di cui deve permearsi ogni anello della catena aziendale, ma la storia del gruppo Volkswagen, retaggio della proprietà pubblica e sancito per legge nel 1960, è la dimostrazione che con la partecipazione si ottengono performance straordinarie in ogni Paese in cui si va ad operare, con garanzie occupazionali e reddituali che superano il modello conflittuale dei Paesi del Sud Europa».

Lamborghini e Ducati insegnano. Le parole di Flavio Benites, segretario della IG Metall di Wolfsburg, sono la cornice dentro cui si è aperto ieri a Bologna un serrato confronto sull'impatto della proprietà tedesca nelle relazioni industriali, all'interno della due giorni organizzata da Ires Emilia-Romagna – con la Fondazione Hans Böckler della Confederazione sindacale tedesca Dgb e Fondazione Friedrich Ebert della Spd – sulla codeterminazione in Germania e le esperienze di partecipazione in Italia.
Il modello Volkswagen, che oggi coinvolge 12 marchi, 105 siti produttivi e 550mila lavoratori nel mondo, è stato riconosciuto all'unanimità un patrimonio da preservare ed emulare per sviluppare le relazioni industriali europee «e garantire un futuro alla manifattura italiana. In questo Paese abbiamo i migliori operai del mondo e i peggiori manager, perché non sanno collaborare e ascoltare chi l'azienda la fa e la vive dal basso tutti i giorni, una miopia che non porterà lontano la nostra imprenditoria», afferma Alberto Cocchi, responsabile del training center di Automobili Lamborghini e delegato Fiom. Perché sono proprio i casi bolognesi della Lamborghini e di Ducati le testimonianze fuori porta che, senza arrivare all'estremo della codeterminazione, mostrano come con accordi di secondo livello e dialogo costante e trasparente tra vertici aziendali, lavoratori e rappresentanze sindacali si ottengono risultati ben oltre la media di mercato.

«Nel 1998 eravamo in 500 a Sant'Agata Bolognese e producevamo 300 vetture. Oggi siamo più di mille e realizziamo 2.200 supercar». Bastano due numeri a Cocchi per spiegare come 15 anni di approccio tedesco targato Audi-Volkswagen abbiano cambiato il corso della piccola casa automobilistica, che si accinge a chiudere un altro bilancio record dopo il +46% di fatturato 2012 e il +30% di vetture consegnate (avendo tra l'altro stabilizzato oltre 160 lavoratori negli ultimi due anni). «Piccola sì, ma al pari di Ducati, che sta misurandosi ora con la portata innovativa della Mitbestimmung tedesca, siamo nel comitato aziendale di VW, abbiamo voce in capitolo e firmiamo accordi e carte fondamentali per la vita in fabbrica. La Charta dei rapporti con i lavoratori del 2009 e la Charta del lavoro a tempo del 2012 del gruppo – prosegue Cocchi – sono una cassetta degli attrezzi straordinaria per dare spazio ai sindacati e ai lavoratori.

Volkswagen ha capito perfettamente che ascoltando i cervelli dei dipendenti i problemi si risolvono prima e meglio». L'accordo di secondo livello firmato un anno fa in Lamborghini che elimina la pratica delle intese separate, istituisce commissioni tecniche bilaterali e fissa un tetto al precariato è uno schiaffo alla soluzione monocratica Marchionne scesa come un virus sulla via Emilia tra Maserati, Ferrari e Weber. «La ricetta Fiat ha azzerato 40 anni di cultura collaborativa e solidaristica costruita con aziende come Weber, perché la finanziarizzazione delle imprese si è tradotta in finanziarizzazione delle relazioni industriali, un processo acuito dalla crisi che ha messo all'angolo tutti i modelli di cogestione che in qualche modo si riallacciano alla cultura cooperativa della regione», commenta lo storico sindacalista Fiom Gianni Scaltriti.

Lamborghini e Ducati – ossia il modello Volkswagen che non è il modello Germania ma il top mondiale della cogestione – sono la punta di diamante di una presenza tedesca capillarmente diffusa lungo la via Emilia, lì dove ci sono eccellenze manifatturiere appetibili: sono 144 le aziende della regione partecipate da capitali tedeschi (su 651 imprese a partecipazione estera), la metà delle quali nel Bolognese, a partire dal packaging (Romaco, Bielomatik, Optima); seguono Modena (nel biomedicale Bbraun e Fresenius, nella meccanica agricola Kverneland) e Parma (nell'industria alimentare Gea Group e Indag). Un fatturato italo-tedesco che vale oltre 3,8 miliardi sui 26 complessivi di matrice straniera.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi