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Questo articolo è stato pubblicato il 02 gennaio 2014 alle ore 06:46.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:34.

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A giugno 2009 il primo accordo tra il Lingotto e le amministrazioni di Usa e Canada. Poi, tre anni fa lo scorporo delle attività dell'auto dal resto del gruppo, con la quotazione a Piazza affari – era il 3 gennaio 2011 – di Fiat Industrial. Quindi, i tre traguardi tecnologici raggiunti da Chrysler, l'acquisto da parte del Lingotto del 7,5% di proprietà dei governi d'oltreoceano e l'esercizio delle diverse call option (la finestra per la quarta si sarebbe aperta proprio ieri): per scalare tutta la Chrysler, Sergio Marchionne ci ha messo quattro anni e mezzo, mentre la Fiat ha speso complessivamente 3,7 miliardi di dollari (in euro fanno poco più di 2,5 miliardi), una cifra che a Torino scandiscono con soddisfazione visti i 36 miliardi di dollari spesi da Daimler nel '98 per rilevare la casa americana e i 7,4 miliardi sborsati da Cerberus per l'80% nove anni dopo, quando la crisi iniziava a farsi sentire.

Quattro anni e mezzo per ridare all'Italia uno dei primi gruppi industriali dopo lo tsunami della globalizzazione e dunque per scrivere «un momento importante destinato ai libri di storia», come ha dichiarato ieri Marchionne. E per costruire un gruppo. Anche perché di mezzo c'è stata una crisi senza precedenti, la più violenta che abbia mai conosciuto l'Europa dal dopoguerra e che in Italia si è tradotta in una contrazione mai vista dei volumi di vendita e quindi di quelli produttivi, accompagnata da una riorganizzazione degli stabilimenti – prima Pomigliano, poi Mirafiori, Grugliasco e via via tutti gli altri – segnata da laceranti referendum tra i lavoratori.

E ora? Marchionne, in black period pre quotazione e quindi sotto silenzio in base alle regole imposte dalla Sec, non parla da mesi. Ma non servono dichiarazioni ufficiali per capire che al Lingotto ma soprattutto ad Auburn Hills si lavora alla fusione e alla successiva quotazione del maxi gruppo, magari sfruttando una parte dei dossier preparati negli ultimi mesi per assecondare le richieste del Veba che pretendeva l'Ipo della propria quota. In sostanza, il percorso che attende Fiat e Chrysler è molto simile a quello che hanno compiuto Fiat Industrial e Cnh. Dal punto di vista finanziario l'operazione ha funzionato con i camion e i trattori, quindi verrà ripetuta con le auto, con le incognite che ne conseguono dal punto di vista delle scelte produttive; dalla fusione, come noto, arriverà una grande opportunità come la riserva di liquidità che fa capo a Chrysler, che ora potrà essere utilizzata da Fiat e che in parte sarà dirottata – ad esempio – sui nuovi modelli Alfa Romeo. Ma con un gruppo sempre più americano, è evidente, crescono anche le incertezze per gli stabilimenti italiani, come emerso ieri dalle prime dichiarazioni di politici e sindacato dopo l'annuncio dell'accordo.

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