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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2014 alle ore 08:09.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:57.

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Essere o non essere vera Europa? Ed Europa come e fino a dove e con o senza la Gran Bretagna? E poi restare, entrare o uscire dall'euro? E partendo dall'euro costruire o no una nuova architettura europea?
Gli interrogativi sul futuro dell'Unione a 28 si inseguono in tutte le sue capitali e fuori, disordinati e confusi, nei palazzi del potere e tra la gente a quattro mesi dalle elezioni europee, che rischiano di vedere l'impennata senza precedenti dei partiti euroscettici, e a cinque mesi dall'inizio della presidenza europea dell'Italia che per questo potrebbe finire a ballare sulle montagne russe.

In realtà paradossalmente oggi l'Europa si ritrova di fronte a un bivio impossibile: prigioniera di se stessa per imperativo di sopravvivenza nel mondo globale. Priva di vere alternative, volente o nolente condannata a scegliersi. Pena il suicidio collettivo, la rinuncia alla propria civiltà e al proprio modello di sviluppo (pur costretto a innovarsi).
Anche se obbligata, la scelta non si annuncia né facile né scontata. L'Unione ha perso carica, visione e consensi. Oltre che posti di lavoro e crescita economica. O meglio cresce bene, a ritmi americani, solo a Est, cioè dove è meno Europa in quanto quasi del tutto fuori dall'euro. Dilaniata dalla fatica di esistere e dalle diffidenze reciproche, l'Ue che non si ama più deve integrarsi di più per non disintegrarsi, per ritrovare futuro e credibilità dentro e fuori i propri confini tenendo testa alla concorrenza mondiale.

Pur proclamando il contrario, non cessa però di sfarinarsi in sordina: con il mercato unico sempre più plasmato secondo la legge del più forte. Con la silenziosa rinazionalizzazione dei mercati finanziari nel quinquennio dell'euro-crisi.
Con la prossima nascita di un'unione bancaria che tale sarà forse solo tra 10-15 anni, quando forse la mutualizzazione dei rischi, dei diritti e dei doveri, non sarà più un tabù intangibile in Germania e nordici dintorni. Con, non più tardi di una settimana fa, l'irruente difesa dei particolarismi tedeschi da parte di Martin Schulz: il presidente dell'europarlamento candidato socialista alla guida della prossima Commissione Ue, ritiene "ingiustificabile" l'intrusione di Bruxelles in Germania quando, in nome di una concorrenza più equa e trasparente sul mercato unico europeo, invoca la fine delle protezioni pubbliche per le Landesbanken o la rinuncia da parte dello Stato tedesco alla sua quota nel capitale nella Volkswagen. O, di questo passo, presto magari anche la rinuncia al mercato unico dell'energia, alla liberalizzazione di quello di servizi e professioni, da sempre invisi a Berlino.

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