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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2014 alle ore 08:09.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:57.

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Con la scusa di un presunto eccesso di invadenza da parte di Bruxelles, scatta così la teorizzazione di un legame integrativo più rispettoso delle specificità nazionali: soprattutto tedesche, verrebbe da dire, visto che i diktat della troika, i superpatti di stabilità o i contratti Ue a venire sulle riforme strutturali (per gli altri) non hanno finora creato altrettanti scatti di indignazione.
L'Europa è squilibrata, imperfetta e impopolare ma resta più che mai necessaria. Per riuscire a salvarla, a questo punto, bisogna correggerla, rifondarla. Ma come?
Come cavalcare il futuro quando la demografia le rema contro? Può l'immigrazione più o meno illimitata essere una risposta plausibile - magari anche ad allargamenti quasi impossibili come quelli a Turchia e Ucraina - e se sì a quale prezzo per la salvaguardia dell'identità europea? Rimanere "soft", cioè potenza irrilevante sulla scena mondiale, o optare per l'hard power resuscitando il progetto di euro-difesa, tra l'altro oggi uno dei grandi volani della crescita economica civile, sapendo che la Nato non sarà per sempre e smettendo di annegare nella comoda illusione pacifista, espressione di una società imbelle e ricattabile?

Tornare a crescere come? Davvero il vangelo tedesco deve restare l'unica e assoluta professione di fede europea o possono entrare in gioco anche testi apocrifi, ricette di sviluppo più dinamiche e più rapidamente efficaci? Quanto i dogmi del 3 e 60% per deficit e debito restano infallibili se il mondo è cambiato dai tempi di Maastricht e si deve competere nell'economia globale? A mettere a confronto i ritmi di crescita europei con quelli di Stati Uniti, Giappone e Cina si direbbe che qualche ripensamento, qualche correzione di rotta non guasterebbero.
Le domande sono tante, troppe, le risposte non univoche. Nelle cancellerie il dibattito è aperto, intenso, ma per ora sotto traccia. L'Europa è diventata un'abitudine, anche cattiva quando chi ce l'ha la prende poco sul serio in fatto di rispetto delle sue regole , prima ancora, dei suoi valori. Di solidarietà, libertà e democrazia.

Europa sì ma con le molle, cioè se e quando conviene a livello nazionale. Europa sì ma con un micro-bilancio comune (non più dell'1% del Pil collettivo) perché le cose che contano, i grandi investimenti in ricerca, innovazione e infrastrutture che muovono la crescita, si fanno meglio in casa. Europa sì ma solidarietà sempre più pelosa perché gli Stati membri devono trottare sulle proprie gambe e cavarsela da soli salvo ripescarli in extremis se proprio al collasso ma a carissimo prezzo per i malcapitati . Partner?
Si può andare avanti così ? La riunificazione tedesca ha cambiato i rapporti di forza in Europa ma soprattutto ha cambiato la percezione dell'Europa in Europa. In Germania la sensibilità verso il progetto integrativo è radicalmente mutata: l'Ue non è più la famiglia ritrovata dopo una guerra e delitti da dimenticare ma una Spa, dove l'azionista di maggioranza decide ed il business è l'unica cosa che conta davvero. Come dire un rapporto con l'Europa sempre più inglese.

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