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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2014 alle ore 20:12.
L'ultima modifica è del 19 marzo 2014 alle ore 20:19.

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Ecco il testo delle comunicazioni alla Camera e al Senato del premier Matteo Renzi, in vista del Consiglio europeo.

Signora Presidente, gentili deputati,
il Consiglio europeo che è previsto per domani e dopodomani avrebbe dovuto essere prevalentemente interessato ai temi della competitività, della crescita e dell'occupazione. Dico avrebbe dovuto, perché le vicende di crisi alle quali stiamo assistendo in Ucraina, che hanno costituito oggetto di un incontro straordinario dei Capi di Stato e di Governo quindici giorni fa e che hanno visto molteplici formati, incontri tra i responsabili delle delegazioni degli affari esteri, sicuramente saranno particolarmente approfondite, in particolare nel corso della cena di domani. Credo, però, che sia utile da parte mia tentare di proporre il punto di vista del Governo italiano e ascoltare le valutazioni del Parlamento tentando di tenere insieme i due punti che la Presidente ha appena ricordato, perché è del tutto evidente che una riflessione sullo stato economico del nostro Paese, dei nostri conti pubblici, è anche condizione e, per alcuni aspetti, oggetto della discussione europea. Tento cioè di offrire alla vostra valutazione una riflessione che tenga insieme i temi del Consiglio europeo con la discussione sullo stato dei conti pubblici e con le misure che già sono state oggetto di una prima valutazione informale anche da parte di questo Parlamento nella discussione che già c'è stata, e che comunque vedrà nei prossimi giorni e settimane l'approvazione del DEF e, più in generale, di alcune misure che il Governo porterà alla vostra attenzione.

Parto da un non europeo, da uno degli incontri di questi giorni non con un Capo di Stato e non con un europeo. Ho incontrato – e per me è stato un incontro particolarmente importante – l'ex Presidente del Brasile, Lula. Perché dico che per me è stato un incontro particolarmente importante ? Perché ciascuno di noi ha i propri punti di riferimento, e io trovo che un Capo di Stato, un politico che riesce a portare 30 milioni di persone fuori dalla povertà e a fare un investimento sulla mobilità sociale che ha riguardato 60 milioni dei suoi concittadini costituisce giocoforza un punto di riferimento. Interpreto infatti la politica come l'occasione per cui, partendo da uno stato di uguaglianza, ciascuno possa giocare la carta della mobilità, del talento, della opportunità. E in questa discussione avuta a palazzo Chigi con l'ex Presidente Lula, che ha anche toccato alcuni argomenti interessanti rispetto al rapporto tra Italia e Brasile e, più in generale, tra Europa e America latina, mi ha particolarmente colpito una considerazione che il Presidente Lula ha espresso e che sintetizzo in modo un po' brutale così: non ho mai visto l'Europa e gli Stati europei così rassegnati, pessimisti e stanchi.

Credo che chi rappresenta un Paese all'interno del Consiglio europeo debba partire da questa considerazione. L'Europa oggi vive una fase di difficoltà che è evidente agli occhi dei cittadini, e non importa il sondaggio di turno del talk show o della trasmissione televisiva per ricordarci come sia forte in tutto il continente il rischio di una forte affermazione di partiti populisti e antieuropeisti. Ma questo tipo di evidenza è un'evidenza che va oltre il cittadino comune, che arriva persino a quei politici di tutto il mondo che hanno sempre visto nel nostro continente un modello e un punto di riferimento.

Allora, mi ha molto colpito e mi sono domandato: al Consiglio europeo, e in generale, nei vari Consigli che i ministri presidiano, che cosa andiamo a dire? Che cosa andiamo a portare al di là delle relazioni che abbiamo predisposto e che abbiamo preparato? Al di là delle note tecniche su cui possiamo confrontarci? Che tipo di impeto possiamo portare all'interno di un percorso, quello della costruzione e dell'implementazione della Unione europea che oggettivamente subisce una battuta d'arresto? Si dirà, subisce una battuta d'arresto perché c'è la crisi. Non è così, non è solo così.

Ho trovato una frase, e partirei da questo, di un grande europeista italiano, risale a 19 anni fa, era il momento in cui la Commissione di Jacques Santer si presentò al Parlamento europeo, forse la prima volta in cui il Parlamento europeo giovò un ruolo anche significativo. Era Alex Langer che diceva queste parole: «stiamo costruendo un Europa di spostati e velocizzati, dove si smistano sempre più merci, persone, pacchetti azionari, ma si vuotano di vivibilità le città e le regioni».

Perché voglio partire da Alex Langer e da quel 1995, peraltro tragico? Peraltro tragico per lui e anche per l'Europa, il 1995 ricordiamo è l'anno di Srebrenica, è l'anno dei caschi blu olandesi, è l'anno del fallimento delle politiche istituzionali o, meglio delle istituzioni rispetto alla politica. Perché sono partito di lì? Sono partito di lì per dire che il rischio di una deriva tecnocratica e burocratica europea è un rischio che non avverte questo Parlamento o questo Governo perché c'è stata la crisi economica e finanziaria degli ultimi anni, ma è un rischio che è dentro, insito nell'animo e nel cuore di chi da anni si batte per una Unione europea degna di questo nome e al quale oggi dobbiamo dare una risposta a maggior ragione, perché nei prossimi otto mesi non soltanto ci sarà il passaggio elettorale, mai significativo come in questo caso, anche se da quando facciamo politica tutti noi sappiamo che le elezioni successive sono sempre quelle più importanti, mai abbiamo trovato qualcuno che dicesse che quelle elezioni che stiamo per fare non sono importanti, ma questo passaggio è importante e rilevante. Avremo il cambiamento delle istituzioni europee, a partire dal cambiamento della Commissione e avremo il semestre italiano, il semestre europeo a guida italiana, a cui il precedente Governo guidato dal Presidente Letta, che saluto e che ringrazio, ha dato un importante stimolo e punto di riferimento.

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