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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2014 alle ore 20:12.
L'ultima modifica è del 19 marzo 2014 alle ore 20:19.

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continua a morire di criminalità, persino a tre anni, come è accaduto a Taranto due giorni fa. Ma per chi di noi ha iniziato a fare politica, venendo da alcuni movimenti associativi, c'è la figura di don Peppe Diana e, per chi di noi lo aveva conosciuto quando aveva scritto «Per amore del mio popolo non tacerò», per chi di noi ha visto in alcune figure, come quella di don Peppe, qualcosa di più che un punto di riferimento, ebbene, il collegamento alla lotta contro la corruzione va oltre l'aspetto economico, ma è un passaggio economico: in tutte le graduatorie internazionali perdiamo 20-30 posti, perché abbiamo un sistema che viene considerato – talvolta devo dire persino a torto, ma in molti casi a ragione – ancora foriero di grandi miglioramenti. E noi dobbiamo andare in questa direzione. Il secondo elemento di misura economica, che noi abbiamo predisposto – e vado rapidissimamente a terminare che sono stato fin troppo lungo, come sempre – è quello dell'immediato intervento a favore del ceto medio.

In questi anni, l'Italia i compiti li fatti. I Governi che mi hanno preceduto, che ci hanno preceduto, non sono stati a girarsi i pollici e noi abbiamo la certezza che, dalla nostra parte, non ci sono gli slogan. Ci sono i numeri: questo è un Paese che, da anni, ha un avanzo primario; questo è un Paese che rispetta i vincoli europei; questo è un Paese che ha il secondo export dei 28 Paesi europei; questo è un Paese che ha una manifattura che continua ad avere dei risultati straordinari; questo è un Paese di cui siamo orgogliosi ed è un Paese che ha bisogno di un racconto diverso anche di se stesso all'estero. Detto questo e detto che noi non abbiamo paura a confrontarci con nessuno sui numeri, non abbiamo paura a confrontarci con nessuno sui dati, non abbiamo paura a confrontarci con nessuno sul rispetto dei parametri europei, sappiamo di avere una grande zavorra, anche in questo caso culturale prima ancora che economica, che è quella del debito pubblico e del rapporto con il PIL. Negli ultimi tre anni abbiamo fatto dei netti miglioramenti dal punto di vista dell'avanzo primario, eppure il rapporto debito pubblico/PIL è cresciuto a quanto ? Dal 120 al 132 per cento, e ciò per due motivi che ho visto che nelle bozze di risoluzione sono ampiamente illustrati. Il primo, per una contribuzione da parte del nostro Paese ai Fondi salva Stati, perché non dimentichiamoci mai che l'Italia dà all'Europa più di quello che economicamente riceve. Siamo un contribuente attivo. Poi abbiamo il problema di come spendiamo le cose che abbiamo, poi abbiamo il problema di come spendiamo i Fondi di coesione, poi abbiamo il problema di come noi siamo in grado di utilizzare le risorse che ci vengono assegnate e che ci andiamo a prendere, ma questa è un'altra storia, è una storia che attiene alla nostra capacità di cambiare noi stessi, precondizione di uno sforzo di cambiamento possibile per l'Europa. Ma il passaggio dal 120 al 132 per cento è arrivato anche e soprattutto per il fatto che il PIL è crollato, non soltanto è diventato negativo, ma è uno dei peggiori dell'Eurozona, e tra i Paesi del G20 siamo gli unici a non essere cresciuti; perché ? Perché ci sono mancate le riforme strutturali.

Ecco allora il punto centrale: siamo partiti da un'operazione di taglio del cuneo a doppia cifra, specificando proprio in quest'Aula che si trattava di 10 miliardi, e abbiamo deciso di prendere questi 10 miliardi che derivano da un margine ampio che ancora abbiamo in ordine alla spending review, che presenteremo nelle sedi parlamentari, come è giusto che sia, dopo un'analisi politica, perché il commissario ci ha fatto l'elenco e toccherà a noi come parte politica individuare dove tagliare o «no». Se una famiglia non ce la fa più, è evidente che deve fare i conti in casa, poi saranno il babbo e la mamma, il papà e la mamma, a decidere cosa tagliare e cosa «no». Quindi noi ci presenteremo in modo chiaro in Parlamento con l'elenco delle voci dove vogliamo intervenire e dove «no».

Ma accanto all'analisi e all'intervento sulla spending review, abbiamo ancora dei margini che stanno dentro il mondo della finanza pubblica e il mondo dei conti pubblici e che illustreremo nel DEF, come è naturale che sia. Però questi primi dieci miliardi li vogliamo dare immediatamente come detrazioni a quei 10 milioni di italiani che guadagnano meno di 1.500 euro al mese; perché questo ? Innanzitutto, per un fatto economico. Noi pensiamo che questa misura aiuti a sostenere non l'export che è già forte, certo si può sempre migliorare, ma il mercato interno che è totalmente bloccato (Commenti di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle ). Non è difficile capire, basta impegnarsi e poi uno lo capisce, non è difficile, vi facciamo lo schemino (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia). Il punto centrale è che questa misura è innanzitutto una misura di sostegno all'economia. È, seconda poi, una misura di giustizia sociale. Oggi abbiamo vissuto, in questo periodo abbiamo vissuto, una fase in cui abbiamo visto crescere il costo della vita in condizioni particolarmente dure e contemporaneamente una situazione dei salari che è rimasta praticamente bloccata.

Il terzo punto – attenzione che questo è importante – è andare a restituire un elemento di speranza e di fiducia agli italiani. Trovo che questo passaggio sia molto importante, noi abbiamo una significativa parte dei nostri concittadini che negli ultimi anni hanno messo di sperare, oltre che di spendere, in parte per un'evidente situazione di difficoltà economica, ma in un'altra parte perché, e chi è più bravo di me nelle previsioni economiche sa perfettamente come anche la componente psicologica sia un elemento fondamentale, si è creato un clima di terrore intorno al nostro Paese, si è creato un clima di rassegnazione, si è creato un clima nel quale l'impressione era che l'Italia fosse finita. Bene, in questo scenario la prima mossa è questa. La seconda è quella di intervenire riequilibrando, a parità di tassazione, l'intervento sulle aziende rispetto all'intervento sulle rendite finanziarie. Il terzo elemento è quello di intervento sull'energia, sul costo dell'energia per le piccole e medie imprese, che sono quelle che sono fuori dagli sgravi per le imprese energivore e che sono contemporaneamente sopra la media europea. Chi conosce – e le affronteremo domani e dopodomani – le grandi questioni di politica energetica comunitaria, sa come oggi la concorrenza americana è particolarmente forte nel mercato globale e che, quindi, c'è un tema vero che riguarda l'Europa. Però, se io penso a un'azienda del nord est penso a un'azienda che nel nord est ha il costo dell'energia che è più o meno il 25-30 per cento più alto di quello che ha il concorrente della Baviera. E allora è evidente che noi dobbiamo dire che chi riesce a stare sul mercato globale nonostante questa difficoltà è un eroe. È un eroe (Applausi della deputata Malpezzi). Fare dei piccoli interventi in questo senso è un primo passo che noi vogliamo fare. Io sono stato – l'ho detto – troppo lungo e vado a chiudere. Il pacchetto di misure che presentiamo all'Unione europea, non viene presentato per ottenere un imprimatur o una bollinatura, o ottenere il timbro. Sono misure che il timbro lo debbono avere da questo Parlamento. Vorrei essere chiaro con chi in queste ore sta dicendo: «Andiamo in Europa a chiedere la linea». La linea la chiediamo a chi è stato eletto e che ha sicuramente la possibilità di raccontare che c'è un grande alibi, che è l'Europa, ma non si rende conto che la sfida che tiene insieme tutti gli argomenti di cui ho discusso – dalla politica estera al clima, all'energia, alle misure economiche – è affermare che la politica ha ancora uno spazio, è affermare il fatto, l'idea, il concetto, che in questo momento nel nostro Paese esiste uno spazio per la politica. E se esiste uno spazio per la politica, noi pensiamo che l'Italia debba non semplicemente aspettare il cambio della Commissione, ma debba iniziare dal cambiare le idee che stanno dentro il dibattito europeo. E pensiamo che, se questo è vero, il futuro non è uno spazio da aspettare, il futuro è un luogo da conquistare. E se questo è vero, noi siamo stanchi di chi va in televisione a dire: «Non faremo la fine della Grecia» (Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie). Fa piacere il buonumore, perché è un elemento importante della crescita economica di un Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Quando qualcuno dice: «Non faremo la fine della Grecia» e immagina di poter offrire al nostro Paese un orizzonte fatto di difficoltà e di disagio, non si rende conto che il punto non è che fine noi vogliamo fare. Il punto è quale inizio vogliamo costruire. Ma perché questo accada, abbiamo una priorità, che è una priorità reale: quella di dire che la politica ha ancora un valore.

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