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Questo articolo è stato pubblicato il 13 aprile 2014 alle ore 15:52.
L'ultima modifica è del 14 aprile 2014 alle ore 10:42.
La famosa domanda attribuita a Henry Kissinger: «Chi devo chiamare al telefono, se voglio parlare con l'Europa?» potrebbe essere di buon auspicio per le elezioni europee del 22-25 maggio (il calendario è variabile, ma i risultati saranno annunciati domenica 25 sera in tutti i 28 paesi Ue). Per la cronaca, l'ex segretario di Stato americano delle amministrazioni Nixon e Ford, che ha raggiunto l'invidiabile età di 90 anni, potrebbe non aver mai pronunciato quella frase: «Non sono sicuro di averlo detto io - ha dichiarato Kissinger qualche tempo fa in un incontro pubblico a Varsavia - aggiungendo però che «questa è una buona citazione, quindi perché non prendersene il merito?» suscitando l'ilarità dei presenti, fra cui molti diplomatici e accademici.
In un momento in cui l'Unione cerca di superare la perdurante crisi economica e i leader europei riflettono su quale direzione prendere in futuro, la posta in gioco questa volta è alta. La principale novità della legislatura è che i cittadini, oltre ad eleggere i deputati del Parlamento europeo per i prossimi cinque anni, avranno la possibilità – almeno in linea teorica – di eleggere anche il presidente della Commissione, cioè il capo dell'Esecutivo europeo che in autunno succederà a José Manuel Barroso. Il riferimento normativo è contenuto nell'articolo 17, paragrafo 7 del Trattato di Lisbona (firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009) che così recita: «Tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione. Tale candidato è eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei membri che lo compongono».
In realtà non è pacifico per tutti – a cominciare dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e dall'attuale presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy (temendo forse una "svalutazione" della sua carica) – che "tenere conto" dell'esito elettorale voglia dire indicare automaticamente il presidente della Commissione, svuotando di fatto il potere di proposta degli Stati membri. Fra l'altro lo stesso art. 17 del Trattato di Lisbona così prosegue: «Se il candidato non ottiene la maggioranza, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone entro un mese un nuovo candidato, che è eletto dal Parlamento europeo secondo la stessa procedura».
Se il nuovo presidente della Commissione fosse davvero scelto dagli elettori – seppure in forma indiretta – darebbe più legittimità democratica all'Esecutivo europeo, che negli ultimi anni ha avuto un ruolo più defilato rispetto a quello del Consiglio. I maggiori raggruppamenti politici si sono in effetti attrezzati per designare un proprio "candidato presidente": i popolari europei (Ppe) hanno scelto Jean-Claude Juncker, ex primo ministro del Lussemburgo ed ex presidente dell'Eurogruppo; i socialisti (Pse) propongono Martin Schulz, attuale presidente dell'Europarlamento; l'Alleanza dei liberali e democratici (Alde) indicano Guy Verhofstadt, ex primo ministro del Belgio; la sinistra alternativa europea ha ispirato la nascita di una lista con il nome Alexis Tsipras, leader del partito greco Syriza; i Verdi hanno invece nominato due capilista, il francese José Bové e la giovane europarlamentare tedesca Ska Keller.
Di fronte a una vittoria netta di uno dei candidati, il Consiglio europeo non si metterebbe di traverso, rifiutandosi di seguire le indicazioni delle urne. Stando ai sondaggi, però, non sarebbe questo l'esito più probabile: le elezioni del 22-25 maggio saranno un testa a testa fra il Ppe e il Pse, ma – salvo sorprese - il partito vincitore avrà solo una maggioranza relativa di voti e di seggi. Quindi il presidente della Commissione dovrà essere eletto da una coalizione, dove il Consiglio può dire la sua (al limite anche proponendo un candidato esterno alla competizione elettorale).
Intanto ognuno dei 28 Stati dell'Unione, in base alle proprie leggi elettorali, ha stabilito le date in cui i 500 milioni di cittadini europei andranno alle urne, nei quattro giorni compresi fra il 22 e il 25 maggio, per eleggere 751 deputati (questo numero rimarrà fisso anche in futuro). I seggi sono ripartiti secondo il principio della "proporzionalità decrescente", in base al quale i paesi con una maggiore consistenza demografica dispongono di più seggi rispetto ai paesi meno popolosi, ma questi ultimi hanno più seggi di quanti sarebbero previsti applicando il criterio proporzionale puro.
In Italia voteremo domenica 25 per eleggere 73 deputati, uno in più rispetto alle elezioni del 2009. Il territorio nazionale è stato diviso in cinque circoscrizioni macro-regionali: si vota con il sistema proporzionale e soglia di sbarramento del 4% per il riparto dei seggi. Ogni elettore può esprimere fino a tre preferenze e, nel caso, la terza deve essere di sesso diverso dalle prime due. Le elezioni europee saranno abbinate alle elezioni dei Consigli regionali del Piemonte e dell'Abruzzo e dei sindaci di oltre 4 mila comuni (fra i quali c'è anche Firenze, dove si voterà per scegliere il successore di Matteo Renzi).
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