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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2014 alle ore 11:05.
L'ultima modifica è del 14 maggio 2014 alle ore 16:49.
C'è un Paese che ben incarna la crisi di identità dell'Europa alla vigilia delle elezioni per il nuovo Parlamento comunitario e l'effetto domino innescato dai movimenti euroscettici, che anche qui – con il Partito dei finlandesi – sono ben radicati. È, appunto, la Finlandia, attraversata in questi giorni da un piccolo terremoto ai vertici del Partito socialdemocratico al quale non è estranea proprio l'ascesa (e la retorica) del Partito di Timo Soini.
La svolta anti-austerity dei socialdemocratici
Venerdì scorso i socialdemocratici hanno eletto un nuovo leader: Anti Rinne, che subentra all'attuale ministro delle Finanze, Jutta Urpilainen, la quale ha annunciato che si dimetterà anche dalla carica in seno al governo. Rinne, 51 anni, viene dal sindacato (ha guidato in anni recenti la maggiore trade-union dei colletti bianchi) ed è fortemente critico nei confronti delle politiche di austerity imposte dall'ortodossia europea, che anche la ricca Finlandia ha dovuto mettere in atto negli ultimi anni: quasi 7 miliardi tra tagli alla spesa e nuove tasse dal 2011 a oggi. «La politica dell'Sdp – ha subito dichiarato il nuovo leader – cambierà per enfatizzare il ruolo di crescita e occupazione». E un cambio di rotta potrebbe effettivamente realizzarsi da qui all'anno prossimo, quando sono in programma le elezioni politiche, sia perché anche il maggiore dei partiti di governo – il Partito della Coalizione nazionale – eleggerà il mese prossimo un nuovo leader che sostituirà il premier uscente Jyrki Katainen, sia perché le attuali politiche economiche hanno depresso l'economia di Helsinki, in contrazione in tre degli ultimi cinque anni (quest'anno si prevede un +0.2%) e con una disoccupazione salita all'8,5 per cento.
L'influenza del Partito dei finlandesi
A motivare il nuovo leader socialdemocratico c'è però anche un mero calcolo politico: il suo partito è calato dal 21% di consensi del 2008 all'attuale 15,5 per cento. E qui entra in gioco il Partito dei finlandesi (ex Veri finlandesi), attestati al 17,5% secondo gli ultimi sondaggi, che hanno eroso la base elettorale dell'Sdp (soprattutto gli operai, secondo studi sui flussi).
Ma chi sono i Finlandesi e che cosa propongono, soprattutto per ciò che concerne il rapporto con l'Europa e l'appartenenza alla zona euro?
Il partito, nato nel 1995 (proprio l'anno di ingresso di Helsinki nell'Unione europea) dalle ceneri del Partito rurale finlandese, si definisce un movimento di centro. In realtà combina caratteristiche proprie della destra - nazionalismo, difesa dei valori tradizionali – con posizioni di sinistra, soprattutto in campo economico. Dopo un debutto in sordina, si è affermato nel panorama politico scandinavo, fino a ottenere 39 seggi alle elezioni politiche del 2011, terzo partito del Paese. Alle Europee del 2009 aveva avuto il 9,8% dei voti, mandando a Strasburgo un deputato, inserito nel raggruppamento euroscettico Efd (Europa della libertà e della democrazia, con lo Ukip britannico). Gli anni di crisi hanno accresciuto l'appeal del Partito dei finlandesi, che sulle tematiche europee ha incentrato parte consistente del suo messaggio.
Europa sì ma non troppo
Il leader Timo Soini, 52 anni, si è definito in una recente intervista a Europolitics «euro-realista»; a differenza dello Ukip di Farage, sostiene di non volere spingere per un'uscita della Finlandia dalla Ue (il che significherebbe sovvertire il risultato del referendum con cui, nel 1995, il 57% dei cittadini approvò l'adesione), ma di aspirare a un'Unione che mantenga essenzialmente la sua originaria vocazione commerciale, di mercato unico. Il progetto di integrazione politica ed economica dell'ultimo ventennio, dunque, viene percepito come eccessivo e antidemocratico, come dimostra la decisa opposizione del Partito dei finlandesi a tutti i programmi di salvataggio dei Paesi in crisi messi in atto in questi anni.
Basta del resto dare un'occhiata al programma per le Elezioni europee pubblicato sul sito del partito per rendersi conto che l'euroscetticismo è appena addolcito da alcune affermazioni di principio. La Ue – si legge per esempio – «non è un'entità inviolabile» e funzionerebbe meglio come «una confederazione non troppo stringente di Stati indipendenti finalizzata al libero scambio». I Finlandesi dunque vogliono riformarla in questo senso; in caso contrario – è la conclusione – «uscire dalla Ue è un'opzione, se la Finlandia si convincerà che comporta più svantaggi che benefici».
Quanto all'appartenenza all'euro, viene accettata come «un fatto compiuto», una situazione che tuttavia potrebbe cambiare. Il partito, pertanto, non lavora per un'uscita di Helsinki, ma suggerisce di prepararsi a una possibile disintegrazione dell'Eurozona, un "piano B" tutt'altro che remoto, soprattutto se i piani di bailout diventeranno elemento permanente dello scenario politico-economico europeo.
I finlandesi condividono con gli altri partiti euroscettici l'opposizione a ulteriori allargamenti della Ue a Est e la rivendicazione di politiche migratorie gestite su scala nazionale, ma prendono le distanze da posizioni anti-immigrati giudicate troppo estreme, come quelle del Front National di Marine Le Pen o del Pvv di Geert Wilders. Per questo è da escludere che confluiscano nel nuovo raggruppamento euroscettico che potrebbe formarsi dopo le elezioni del 22-25 maggio.
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