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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2014 alle ore 12:01.
L'ultima modifica è del 06 maggio 2014 alle ore 13:57.

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Le elezioni le hanno vinte su una piattaforma fisiologica: la riapertura delle pubbliche latrine. Eccole lì, affacciate su Great Wythe, la Broadway di Ramsey, due belle porte, nuove fiammanti, con l'indicazione di Signore e Signori. Sono il vanto di Peter Reeve, attivissimo rappresentante dell'United Kingdom Independence Party che ammette: «Le pulisco personalmente ogni sera. È un servizio alla comunità che svolgiamo a turno». Manca solo Guido Gozzano al crepuscolare approccio dell'affabile signor Reeve, trentenne, ex venditore di scavatrici, fulminato sulla via della politica da un video infilato nella porta da un militante del partito di Nigel Farage. «Lo guardai - riconosce - e fu amore a prima vista. La mia vita da quel giorno cambiò e divenne missione. Ero d'accordo con l'intero programma dell'Ukip».

D'accordo, prima di tutto, sull'addio all'Europa matrigna, cieca e ingenerosa verso la grande Inghilterra. È la cifra ideologica più evidente dell'Ukip, la forza che sta terremotando la vita politica nel Regno di Elisabetta. Marcia verso sicuro successo alle elezioni europee: tutti i sondaggi la indicano come seconda, alcuni immaginano che possa schiantare anche i Laburisti, per ora favoriti. Ma è bastata la prospettiva di battere i conservatori del premier David Cameron per spingere Londra sul ciglio del precipizio. Si fa risalire proprio al crescente consenso per lo Ukip, e quindi per la retorica anti-europea, la decisione del premier di promuovere un referendum sull'adesione alla Ue. «Con quella mossa - confessa un ex ministro nei governi Thatcher - si è lasciato uscire il genio dalla bottiglia. Per decenni abbiamo evitato di farlo». Il cinismo della politica è stato interpretato in modo estremo da Cameron, pronto a spingere il Paese verso una crisi devastante (perchè questo accadrebbe in caso di uscita dalla Ue) pur di riguadagnare consenso per restare al potere. Pur di mettere fine all'emorragia verso lo Ukip. Ma cosa ha fatto, oltre a parlare, il partito dell'ex broker Nigel Farage? Poco, al di là dei vespasiani di Ramsey. È il sistema, obiettano i supporter, a negare l'azione. L'Ukip, infatti, non ha nemmeno un deputato a Westminster, ma solo europarlamentari a far da quinta colonna a Bruxelles e manipoli di consiglieri comunali e di contea. Governa in una sola municipalità: Ramsey, appunto.

«Non abbiamo vinto solo con i gabinetti, ma anche con il progetto del nostro mercato e la banca del cibo. Tutto gestito da volontari. Così si spende meno e si possono ridurre al minimo le tasse comunali». La volontaria Annette segna l'incasso per la vendita di un orribile gattino di pelouche. Darà i soldi al commerciante che le ha lasciato il compito di raccogliere il danaro. Tony e John invece vigilano su gioielli e brocantage in mostra sui loro banconi. Pareti scrostate, vetri impolverati, addobbi démodé fanno di un mercato per adulti senz'altra occupazione un'imitazione delle bancarelle dei bambini quando vogliono disfarsi di giocattoli fuorimoda. Tristissimo. Peter Reeve si trattiene dal replicare che c'è solo snobismo in questa considerazione, ma ne è convinto. «Altro che mentalità "little England" da ottusi isolani. Little Europe - sbotta - bisognerebbe dire, impegnata a farsi fortezza verso il resto del mondo. Il mercato, le toilette, la banca del cibo dove la gente porta i prodotti alimentari che non consuma sono la dimostrazione che questa è la Big Society, mica quella pubblicizzata da Cameron. Coinvolgimento dei cittadini nella comunità, dal pulire i gabinetti a gestire spazi comuni per cui si paga una fee minima e si avvia un'attività commerciale senza costi aggiuntivi, senza licenze. La parola magica è semplicità». John fa sì con la testa. «Voto Ukip, sono bravi», dice accarezzando un piccolo vaso di pessimo gusto, questo pezzo d'uomo che nulla ha dell'elettore conservatore radicale. Le stigmate sui calli delle mani sono da supporter laburista deluso. È nella lower middle class, infatti, che l'Ukip raccoglie consensi, sfondando anche nel nord d'Inghilterra dopo il pieno nel feudo Tory del sud-est. «Lavoravo nell'ingrosso di vino, poi mi hanno licenziato - spiega - e questa idea del mercatino comunale mi è parsa ideale. Mi consente di arrotondare». Quanto non lo dice. Tace anche Tony che confessa «no, finora non ho votato Ukip».

Uno dei pochi visto che questa cittadina, affondata nelle opulenti colline del Cambridgeshire, non solo è l'unica a essere governata da una giunta "monocolore" dell'Independence Party, ma detiene anche il record di consensi: il 67% dei voti di Ramsey alle elezioni del 2013 è finito sul simbolo giallo-viola. Reeve sorride: «La progressione in tutte le elezioni locali dal 2010 in poi è stata costante. Siamo passati dal 34 al 67%. Perciò credo che alle prossime elezioni per Westminster potrò vincere e guadagnarmi il primo seggio ai Comuni, togliendo ai Tory la poltrona che fu dell'ex premier John Major».

Spera e intanto sfoglia la margherita in vista delle Europee, convinto che i sondaggi non stimino correttamente il potenziale dell'Ukip. «Si parla del 20-25% su base nazionale, ma andremo meglio. Puntiamo al 30% per diventare il secondo partito nazionale». Un trionfo che secondo lui svelerà la trappola dei conservatori: «Il referendum non lo faranno mai». Scenario improbabile ma utile per sollecitarlo a parlare d'Europa. Esercizio facile facile. Il fuoco di sbarramento si leva subito attaccando la burocrazia, l'appiattimento culturale, le muraglie che incatenano il liberismo britannico entro norme démodé. Farage dice lo stesso, invocando la via svizzera alla "democrazia diretta" anche per il Regno, rigettando le accuse di autarchia, liquidando ogni sospetto di cullare il sogno di una grandeur che non c'è più. Grande, recita l'Ukip-pensiero perché fatta di anche «cose semplici ma necessarie», per dirla alla mister Reeve. Come i gabinetti luccicanti del Great Wythe di Ramsey, palestra di un governo che il Regno Unito merita davvero di non avere mai.

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